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VIVERE CON PASSIONE

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Anche in quel mattino graffiante di freddo l’uomo se ne stava lì, immobile, seduto per terra all’ingresso della chiesa di Santa Maria Crocifissa Di Rosa. Non chiedeva nulla. Ai suoi piedi un piattino di plastica rosicchiato dal tempo conteneva qualche 100 Lire. 

Alta, capelli candidi racchiusi in un crocchio elegante, lungo loden tirolese, l’affascinante signora in quella chiesa ci andava ogni mattina alla prima messa e la presenza del clochard dalla barba lunga, gli occhi miti e l’età indefinibile, suscitava in lei mille interrogativi.

«Bisogna io faccia qualcosa per lui - mi disse una sera con lo sguardo acceso da uno dei suoi pericolosi entusiasmi - e se gli procurassi un roulotte?»

Io:«Al limite un camper che non ha bisogno della macchina».

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Ci sono parole che si scrivono senza sapere il perché. Semplicemente arrivano. È quanto è successo a Paola Brighenti che, una mattina, si è svegliata con l’impulso di riscrivere in chiave moderna alcune pagine del Vangelo. Per i dieci giorni successivi la scrittrice si è ritrovata immersa nella sua e nostra «spesso inconsapevole ricerca di infinito, umano, insopprimibile bisogno di amore». 

D’altronde, scrive nel suo libro “Dalla Parola alle parole” (Arpeggio Libero Ed.), «anche se i contesti sono così differenti, non sono mutate le esigenze spirituali» e oggi come allora l’essere umano, senza amore, non è niente.

Ecco allora che Paola, nel suo immedesimarsi in «quell’io che era l’interlocutore al quale Dio si rivolgeva» ci fa sentire come il pastore che adora Gesù bambino, Bartimeo il cieco, Zaccheo il peccatore, Maria di Magdala, Tommaso o, nel racconto «Invisibile presenza», i discepoli di Emmaus. È quest’ultima la storia di due fratelli che perdono il padre all’improvviso. 

«Incrociarono lo sguardo. Per un attimo. E negli occhi smarriti Francesco e Giorgio riconobbero lo stesso acuto dolore, la stessa angosciosa domanda: E adesso? Poi ci furono gli abbracci, le strette di mano dei parenti, degli amici, del personale della ditta. Gesti automatici, perfino sorrisi, tutto compiuto come in sogno, in una recita dal copione già scritto».

Nello svolgersi degli eventi che seguono i due ragazzi, come i discepoli di Emmaus, imparano a riconoscere la figura viva del padre comprendendo di averlo cercato nel modo sbagliato; «Lui non era fuori», ma presenza invisibile dentro di loro. «Toccava a loro renderla visibile».

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Era iscritto all’I.T.I.S Castelli l’adolescente dai capelli lunghi un metro, ma disertava quasi sempre l’aula per girovagare in città. Non aveva vizi né dipendenze fatta eccezione per l’indomita urgenza di respirare il cielo. Era un bisogno sconfinato, il suo, che le pareti scolastiche non riuscivano a contenere.

Alla seconda bocciatura fu iscritto alla Scuola Bottega e mandato a imparare il mestiere del pasticcere in un laboratorio a pochi metri da casa.

Marco iniziò a frequentare scuola e bottega ma, di lì a poco, riprese a sgambare per la città avendo cura, prima di tornare a casa, di sporcarsi di farina o di marmellata. Il trucco funzionò finché suo padre non lo scoprì e, con un silente e secco pugno in faccia, lo rispedì ai suoi doveri.

Per qualche giorno, sotto il controllo serrato di un’insegnante, Marco filò dritto ma, non appena la profe allentò la stretta, riprese il largo come un pirata che, con il vento in poppa, vive di libertà.

Il ragazzo era così, incontenibile e indomabile, e mi chiedo quale trasformazione alchemica l’abbia portato, oggi, a vivere tutto il giorno (e se deve seguire la lievitazione con pasta madre delle sue creazioni anche tutta notte) fra le pareti del laboratorio della pasticceria di Sarezzo dove la gestazione di una brioche dura tre giorni e di un panettone due. 

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Il concerto sta per iniziare. Titolo: Tutte le sfumature della tristezza. Lei, Paola Volpi (violino) ha 18 anni, la stessa età delle centinaia di ragazzi che riempiono l’Auditorium dell’Istituto Battisti di Salò.

Lui, Matteo Perlin (pianoforte), ne ha 21. Paola a giugno conseguirà il diploma al liceo e un mese dopo la laurea al conservatorio. Matteo quest’anno si laureerà in pianoforte e nel suo sogno: direzione d’orchestra.

Sul palco a presentarli c’è il presidente dell’Associazione ‘Amici della Musica’ Bruno Marelli che, con il programma in mano che prevede pezzi di Brahms, Bruni e Falloni, si chiede: “La musica è ottima, ma i ragazzi sapranno apprezzarla? C’è una distanza abissale tra le vette di creatività e virtuosismo che stanno per ascoltare e le loro canzoni abituali. Devo prepararli”.

Bruno inforca il microfono: «Ragazzi, per voi questa è un'occasione per ascoltare qualcosa di straordinario, oltre che per saltare due ore di scuola». Applauso. «Per quanti quello di stamattina, quest’anno, è il primo concerto di musica classica?» Forte brusio e mani quasi tutte alzate. 

«Non c’è alcun giudizio - precisa Bruno - va bene che ognuno segua le proprie passioni, come del resto i vostri coetanei che suoneranno tra poco. Oggi vi farete un’idea di cosa sia la musica classica. Vi suggerisco di non pensare alle note, ma di sentire l’effetto che producono in voi. Mettetevi comodi, se credete chiudete gli occhi. Soprattutto ascoltate voi stessi».

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Poi succede che, nell’autunno della vita, abbiamo la stessa voglia di sperimentare il mondo perché dentro, noi, siamo sempre lo stesso eterno Sè, solo che non lo sappiamo; pensiamo di essere corpo che si deteriora, pensieri che intasano la mente, emozioni accatastate sul cuore e non ci rendiamo conto dell’enormità che siamo.

Adoro come Albert Camus descrive questa condizione quando scrive: “La tragedia della vecchiaia non è che uno è vecchio, ma che uno è giovane. Dentro questo corpo che invecchia c'è un cuore ancora così curioso, così affamato, ancora pieno di desiderio come lo era in gioventù.

Mi siedo vicino alla finestra e guardo il mondo passare sentendomi un estraneo in una terra straniera incapace di relazionarmi con il mondo esterno, mentre dentro di me brucia lo stesso fuoco che una volta pensava di poter conquistare il mondo; e la vera tragedia è che il mondo è ancora così distante e sfuggente, un luogo che non sono mai riuscito a cogliere del tutto”. 

È della tragedia di non cogliere del tutto il senso dell'esistenza che ci racconta l’autunno con il suo mostrarci che lasciar andare il vecchio in ogni situazione è indispensabile affinché il nuovo si manifesti. L’alternativa è continuare a calpestare il suolo cercando di ignorare il soffuso malessere che pensieri stantii ed emozioni macere generano in noi.

Le foglie continueranno comunque a cadere davanti ai nostri occhi.

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