Era in dubbio nel 1940, dopo un mese di carcere, se divulgare o meno il suo diario «Libertà in prigione» lo psichiatra fondatore della Psicosintesi Roberto Assagioli, ma lo pubblicò
conscio di come le prigioni dell’esistenza riguardino tutti e di come da ognuno di noi dipenda «il far uso di ogni circostanza a scopi costruttivi per allenare e sviluppare qualche parte del proprio essere, o per preservare la serenità, o per ricavare interesse, gusto e gioia da qualsiasi cosa» scrive.
Capita infatti di trovarci in situazioni, nostre o altrui, nelle quali il mondo, d’improvviso, ci crolla addosso. O ci implode dentro. Penso a quando da sani e autosufficienti ci ritroviamo ammalati e dipendenti dagli altri, o quando eventi dolorosamente affilati ci frantumano il cuore. Di colpo siamo al muro della vita. Vuoti. Inermi.
Eppure, quando Assagioli è stato messo in carcere accusato di attività pacifiste e internazionaliste invise al regime fascista, ha deciso di trasformare questo contrattempo della vita in un’occasione di crescita e rinnovamento interiore.
Lo scatto fondamentale, per lui, è stato capire che, seppur privato della libertà fisica, nessuno poteva privarlo della possibilità di scegliere quale valore e significato assegnare a quell’evento.
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