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La sera stava già scollinando nella notte quando Roberto Vecchioni ricevette la telefonata di un caro amico che gli chiedeva come stesse.
«Mi sento molto solo» rispose Roberto.
«Vuoi che venga lì?» chiese l’amico.
«Sì».
In meno di un quarto d'ora l’amico lo raggiunse e per tutta notte lo lasciò parlare di problemi, dubbi, lavoro, famiglia.
«Mi ha fatto bene la sua compagnia, soprattutto il suo ascolto - racconta Vecchioni - e alla fine si è fatto giorno.
«Ora vado, devo andare al lavoro».
«Ti ho tenuto sveglio tutta notte» mi sono scusato io.
E lui: «Non c’è problema, per questo ci sono gli amici».
L’ho accompagnato fuori e mentre camminava verso l’auto gli ho gridato da lontano: “A proposito, perché mi avevi telefonato ieri sera così tardi?”
Lui è tornato verso di me e, a bassa voce, mi ha detto: “Sono stato dal dottore. Sai, non sapevo come dirtelo ma… ho un cancro”.
Io sono rimasto di stucco, ma lui sorridendomi ha detto: “Ne riparleremo, non preoccuparti per me. Stammi bene”».
Roberto ci mise parecchio tempo per realizzare la gravità della situazione chiedendosi spesso: «Perché quando mi ha chiesto come stessi non ho fatto altrettanto e gli ho parlato solo di me? Come ha avuto la forza di sorridermi, incoraggiarmi, ascoltarmi?»
Da quel giorno Vecchioni, racconta sul web, ha cominciato a essere meno drammatico nei confronti dei propri problemi e più attento alle persone alle quali vuole bene.
Conclude: «Mi sono ricordato di una cosa che lessi una volta e che solo in quel momento capii essere vera:
“Colui che non vive per servire, non serve per vivere. Sì perché la vita è come una scala, se guardi in alto sarai sempre l’ultimo della fila, ma se guardi in basso vedrai che sono in molti quelli che desidererebbero essere al tuo posto”».
Questa storia appartiene un po’ a ognuno di noi e, per accorgercene, basta osservare quante volte durante il giorno ci esprimiamo in prima persona singolare (Sto bene, ho bisogno di) e quante per “lamentarci o reagire contro questo o quello.
Così facendo rendete gli altri o la situazione «sbagliati» e voi stessi «giusti» - afferma Eckhart Tolle - Grazie al fatto che vi sentite «giusti» vi sentite superiori e grazie al fatto che vi sentite superiori rafforzate il vostro senso del sé.
In realtà state ovviamente rafforzando solo l’illusione dell’ego. Potete osservare in voi questi schemi e riconoscere la voce che si lamenta nella vostra testa, per quello che è?”
Mi chiedo: dove è finita la nostra autentica essenza, quella che ci scoppiettava nel cuore prima che le paure e le disillusioni della vita lo trivellassero a colabrodo?
Quell’essenza lì, ricolma d’amore, si sarebbe accorta subito che l’amico aveva un problema perché non vive nell’«io», ma nel «tu». Sempre.
Individuare personali insoddisfazioni e debolezze ci permette, se lo vogliamo, di non comportarci più da piccoli problematici «io», burattini inconsapevoli ed egocentrici che replicano un copione innestatoci dagli addestramenti ricevuti, ma da anime sconfinate abitate dal «tu» che diventa «tu-tto»,«tu-tti»
e non solo perché "colui che non vive per servire non serve per vivere”, ma anche perché, diceva Don Tonino Bello “vivere non è trascinare la vita”.
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