Dieci parole via mail avevano mandato in frantumi la sua esistenza, venerdì sera, quando Valerio, il titolare, le aveva scritto: “Devo parlarti. Così non si va avanti. Ci vediamo lunedì”.
Quelle righe erano diventate il suo tormento e, mentre il boss era partito per una breve vacanza con la famiglia, il fine settimana di Laura era stato abitato, oltre che da morsi alla pancia e ansie rosicanti, anche da insonnia e incubi sul licenziamento, in uno scorrere lento di ore intrise di piombo e pensieri catastrofici:
“Perché non mi hai chiamata? Mi licenzi con una mail? E il mutuo? Chi lo trova un lavoro decente a 50 anni? Non avrei dovuto affidare la campagna social a Davide, ma si era venduto bene e l’avevi assunto proprio tu!”
Il sabato, macinato al rallentatore, era stato costellato di spiacevolezze quali una multa, una botta allo stinco, una gomma tagliata e un insulto piovuto a sproposito mentre domenica, nel tentativo di distrarsi facendo una passeggiata, Laura era stata sorpresa da un temporale che le aveva inzuppato cuore e vestiti. 
Lunedì. Valerio entra in ufficio sorridente. Laura, il cuore a 1000, lo segue con lo sguardo da un angolo dell’ufficio. Lo osserva parlare con Davide che si fa serio. Laura ha uno scorpione vivo nello stomaco, sta per arrivare il suo turno. “Devo svenire, subito!” decreta imperiosa la sua mente. Non sviene.
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