Aldo era un uomo pieno di vita, spiritoso, sempre in movimento, appassionato lavoratore, indomabile amante. Dico ‘era’ non perché sia morto, ma perché un giorno permise che sulla sua vita calasse il sipario della parola ‘ormai’. Quando successe, Aldo non era anziano, non lo è nemmeno oggi.
Stessa cosa la vidi in Sibilla, una professoressa in pensione, il giorno in cui si accorse di non essere più «quella di prima»; capitava, infatti, che le cedesse un ginocchio o che i figli le rimarcassero il suo ripetersi. Quando la donna si scontrava contro la realtà del fisico acciaccato o della memoria smarrita in qualche anfratto di gioventù, gli ‘ormai’ cadevano a pioggia, deprimendola.
E poi c’è Enrico, il mio giovane amico di 85 anni, un uomo sempre sorridente e allegro che, se ha qualche dolore, canta. Stare in sua compagnia davanti al caminetto che lui chiama il suo televisore, è pura meraviglia; si chiacchiera, ma si potrebbe anche non dire alcunché, giacché la sua presenza irradia un tal benessere da rendere superflue le parole.
Enrico si entusiasma per qualsiasi cosa e ogni giorno è pronto per una nuova avventura. Nel suo vocabolario la parola ‘ormai’ non è mai esistita, perché lui ha sempre goduto del presente e ringraziato, qualsiasi cosa succedesse. Un giorno in risposta alla mia domanda su cosa facesse quanto accadeva qualcosa di brutto, mi ha detto: «Festeggiavo!».
Eppure Enrico non è matto, lui semplicemente si fida di quel che la vita gli riserva e il risultato della sua totale accettazione è impresso sul suo volto, rischiarato dalla gioia. Ne parlo al presente perché, nonostante 4 anni fa abbia lasciato il corpo, la sua luce è ovunque.
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