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Il blog felice
Der Blog vom Glück
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PAROLE BELLE

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È la pugnalata, quella che ti fa male, quando ti fidi di qualcuno e questo qualcuno ti ferisce servendosi dell’inganno. Tu lo stai aiutando, lo stai addirittura salvando e lui utilizza questo suo star meglio per affondarti un pugnale nel petto. 

Chi vince? Sembra vittorioso chi pensa di farla franca, ma è solo il rimando apparente del mondo grossolano. Il vero vincente, in realtà, è chi subisce l’oltraggio. 

Roma. Sotto l’arco dei Cenci due ragazzi stanno litigando furiosamente. Siamo alle battute finali. Un giovane è a terra e l’altro, sopra di lui, sta per affondargli il pugnale nel petto. Lo ‘sdraiato’, da quella prospettiva, vede la Madonna con il Bambino dipinta sul poderoso arco incastonato fra i palazzi.

La visione sprigiona in lui parole inaspettate: “Ti prego - implora - in nome della Madonna, non uccidermi”. Sbalordito l’avversario si blocca, lascia cadere a terra l’arma e si china sul ragazzo per abbracciarlo ma costui, afferrato il coltello, proditoriamente lo ammazza. 

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Le due donne sono sedute in una pasticceria bresciana. Le festività natalizie stanno scollinando e per loro è tempo di bilanci.

“«Milva, senti, pensiamo al nostro Natale. Qualcuno ci ha stretto forte dicendoci dal profondo del cuore “Ti amo”? Intendo qualcuno di quelli importanti, tipo Giulio per te e mia madre per me?»

Una lacrima scivolò sulla guancia di Milva che veloce la asciugò sistemandosi i lunghi capelli castani con naturalezza. Veronica continuò: «Le feste, io le odio, perché sembrano obbligarci a essere felici, a essere famiglia.

Io ti ho detto che è stato bello e divertente, ed è vero, ma guardavo mia madre che aveva occhi e parole solo per Tommaso osannando il suo successo in Statistica - sorseggiò un goccio di caffè - e notare che ha preso diciotto al terzo tentativo.

Io mi sono laureata in tre anni e una sessione con centodieci e lode e mai, dico mai una volta (…) che mi abbia detto “Brava Veronica, sono orgogliosa di te”.

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Dicembre è un mese accelerato, c’è tensione nell’aria, sta per consumarsi il dramma del Natale, lo si avverte nei discorsi e sul lavoro fin dai primi giorni. L’umanità sembra entrare in una centrifuga che la shakera e restituisce dopo l’Epifania, insieme a un sospiro di sollievo. 

È come se questa non fosse una notte, ma un crinale che divide l’anno fra il prima e il dopo stasera.

Il perché l’ho capito il mese scorso a Malta, una terra sferzata dal vento e abbracciata dal blu inchiostro del mare, uno Stato che filodiffonde musica per le strade addobbate, una Repubblica con 359 chiese attive su 315 Km2 di superficie, un territorio dalla profonda tradizione cattolica caratterizzato da un’economia avanzata e da grande religiosità ma, mio sentore, da assenza di spiritualità.

A Malta manca il cuore, un po’ come nella finzione di certi Natali (che non si vede l’ora che passino) tesi nell’allestimento di un palcoscenico dove si consumerà un evento troppo grande per trovar spazio nella piccolezza dei cuori umani, ma l’organizzazione del quale, nella cura della cornice di musiche e regali, nei sorrisi pitturati in volto e nelle parole di circostanza, potrà stemperare l’inconscio disagio dato dal non senso di tutto ciò.

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È una morsa, a volte un cappio, la notte della solitudine, quando credi di non farcela e la mente ti assale, stringe e non molla; pensi e ripensi ma, ovunque vaghi, non scorgi via d’uscita perché tutte le porte sono bloccate dalla stessa parola-spranga: solitudine.

Cosa ci fa paura, in realtà? La solitudine dell’incontro con le nostre profondità perché “se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te” (Nietzsche) o l’isolamento di quando siamo fisicamente disgiunti dagli altri?

Esiste davvero la separazione o è un’illusione? “Non è un’illusione” afferma la mente, “Sì che lo è” sussurra il cuore.

Il modo per superare il senso di isolamento dato dalla separazione che il nostro corpo fisico percepisce come reale, secondo Erich Fromm, è l'amore che lo psicologo e filosofo tedesco definisce come potere attivo che annulla le pareti che ci separano dai nostri simili e che tuttavia ci permette di essere noi stessi e di conservare la nostra integrità. 

Mi guardo attorno alla ricerca di questo potere attivo e allargo lo sguardo all’alba del nuovo giorno che pennella il cielo di rosa per poi tingerlo ancora in un crescendo infuocato fino allo scoppio finale, l’oro del sole,

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Il mio amico Nicola era stanco, stanchissimo di lavorare a ritmo di quattordici ore al giorno in età già pensionabile, ma c’erano i dipendenti e senza di lui l’attività, che si era artigianalmente costruito, non aveva futuro.

Lo diceva ai suoi ragazzi che non ne poteva più, lo diceva alla figlia e agli amici ma la realtà era che, mentre dispensava parole, continuava a puntare la sveglia all’alba e a tornare a casa alle otto giusto in tempo per farsi la doccia, scaldarsi un pasto e svenire distrutto nel letto.

Chiudere l’azienda, tuttavia, richiedeva ulteriori energie e, al momento, sembrava meno impegnativo continuare a triturare chilometri e accettare commesse. 

Che fare? Nicola non è diverso da noi che fatichiamo con i cambiamenti. Stare nel conosciuto, anche non entusiasmante, è per tutti più facile che spostarsi nell’incognita del nuovo.

È per questo che tendiamo a restare imbrigliati nelle medesime situazioni per anni e, oserei dire, per generazioni.

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