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Il blog felice
Der Blog vom Glück
The happy blog

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PAROLE BELLE

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Era uno di quei giorni d’inizio autunno con il cielo un po’ confuso sul da farsi e il sole luccicoso che giocherellava con le onde della Versilia.

Il ristorante take away costruito in una serra fronte mare iniziava a riempirsi e Loretta era tornata dal bancone delle ordinazioni portandoci tre insalate di mare che ancora raccontavano l’estate.

Le chiacchiere condite di risate spaziavano dai minimi ai massimi sistemi in un apparente caos che, quel giorno, ci portò ad un punto che fece la differenza.

L’antefatto: quando Loretta era andata a ordinare due insalate di mare e un totano, essendo il totano esaurito, aveva ipotizzato di poterlo sostituire con il cous cous «ma vado a verificarlo» aveva detto e, corsa da noi, era tornata dalla ragazza che la stava servendo esclamando: «Niente cous cous ma una terza insalata».

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Ascolteremo quel sussurro lieve che ci parla di continuo anche quando non lo ascoltiamo, anche quando il baccano della mente imperversa.
E lo scriveremo.
 
Immersi nella Maremma selvaggia fra antichi casali in pietra abitati dallo sguardo curioso di un daino bianco, all’ombra delle querce secolari, sulle sponde del laghetto immobile, sdraiati nel frutteto,
 
daremo voce ad uno o più episodi della nostra vita lasciandoli affiorare senza filtri, senza freni, soprattutto senza paura.
Staremo bene, semplicemente insieme.
 
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Il tavolo di cristallo intorno al quale molte anime sedevano era al centro di un salone con ampie vetrate affacciate su di un parco pieno di sole e allegria.

La prima a parlare fu Corinne, un’anima coraggiosa: «Sono pronta ad andare sulla Terra - disse - per imparare a perdonare».

Dante esclamò: «È una sfida tra le più difficili e dolorose, ma ti aiuteremo; io sarò tuo padre e ti  ostacolerò in ogni modo per fornirti abbondante ‘materia' da perdonare».

Giulio: «Anch’io voglio esserci in veste di marito problematico; sarò un ottimo ‘stimolo’ quotidiano».

«Io ti tratterò ingiustamente sul lavoro - disse Sara - potrai esercitarti molto anche con me».

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Ci sono alcuni parcheggi liberi nel piazzale del piccolo supermercato e ancora non so come io, nel far manovra, abbia potuto centrare in pieno un fuoristrada. Inneggio ai sensori addormentati della retro o alla mia sbadataggine?

Ormai è fatta. Scendo e osservo i danni arrecati al paraurti anteriore della vettura tamponata. Mi guardo attorno. Non c’è nessuno. Scrivo un biglietto e mentre lo lascio sul parabrezza arriva il conducente; la Jeep non è sua ma della fidanzata. Mi farà chiamare. 

La telefonata di Monica mi coglie di sorpresa due giorni dopo. Mi scuso ma lei minimizza pronunciando parole che, nonostante risalgano a 15 anni fa, non ho più dimenticato: «Non preoccuparti, sarebbe potuto succedere anche a me. Me la tengo così, la macchina. Non facciamo niente».

«Non è giusto» replico, ma lei taglia corto come a non voler perdere tempo in discorsi poco interessanti o come se io e lei fossimo una cosa sola. La conversazione vira sui sentimenti, sulle stellate, sui nitriti dei cavalli, sul senso della vita; la nostra conoscenza sembra esistere da sempre.

Alla fine, stupite dall’ora che si è fatta, ci salutiamo con la mia segreta intenzione di portarle un regalo presso il maneggio che frequenta e che ho intuito essere non lontano dal fatidico parcheggio.

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Le foglie cadono lente ad una ad una e ci mostrano la loro e nostra età aurea per darci modo di apprezzarla e di comprenderne la grandezza;

ci fermiamo ad ammirare lo svolazzamento di quelle che paiono farfalle inanimate che si staccano dai rami e danzano o, come vorremmo fare con i segni dell’età, ci affrettiamo a eliminarle immaginando un tappeto di marciume che tutti calpesteranno? 

Mentre la natura ci delizia nel mostrarci la perfezione e la necessità del cambio d’abito, la pubblicità ci propone ostinate creme antirughe che, sulle pelli vellutate degli attori, promettono eterna giovinezza;

vorremmo davvero tornare indietro nel tempo, magari in zona adolescenza, con gli adulti che ci facevano imbestialire, la tristezza plumbea per un inciampo imprevisto o la paura del professore che scorreva i nomi per decidere chi interrogare? 

«Ma eravamo giovani« dice qualcuno.

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