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Il blog felice
Der Blog vom Glück
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PAROLE BELLE

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È una morsa, a volte un cappio, la notte della solitudine, quando credi di non farcela e la mente ti assale, stringe e non molla; pensi e ripensi ma, ovunque vaghi, non scorgi via d’uscita perché tutte le porte sono bloccate dalla stessa parola-spranga: solitudine.

Cosa ci fa paura, in realtà? La solitudine dell’incontro con le nostre profondità perché “se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te” (Nietzsche) o l’isolamento di quando siamo fisicamente disgiunti dagli altri?

Esiste davvero la separazione o è un’illusione? “Non è un’illusione” afferma la mente, “Sì che lo è” sussurra il cuore.

Il modo per superare il senso di isolamento dato dalla separazione che il nostro corpo fisico percepisce come reale, secondo Erich Fromm, è l'amore che lo psicologo e filosofo tedesco definisce come potere attivo che annulla le pareti che ci separano dai nostri simili e che tuttavia ci permette di essere noi stessi e di conservare la nostra integrità. 

Mi guardo attorno alla ricerca di questo potere attivo e allargo lo sguardo all’alba del nuovo giorno che pennella il cielo di rosa per poi tingerlo ancora in un crescendo infuocato fino allo scoppio finale, l’oro del sole,

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Il mio amico Nicola era stanco, stanchissimo di lavorare a ritmo di quattordici ore al giorno in età già pensionabile, ma c’erano i dipendenti e senza di lui l’attività, che si era artigianalmente costruito, non aveva futuro.

Lo diceva ai suoi ragazzi che non ne poteva più, lo diceva alla figlia e agli amici ma la realtà era che, mentre dispensava parole, continuava a puntare la sveglia all’alba e a tornare a casa alle otto giusto in tempo per farsi la doccia, scaldarsi un pasto e svenire distrutto nel letto.

Chiudere l’azienda, tuttavia, richiedeva ulteriori energie e, al momento, sembrava meno impegnativo continuare a triturare chilometri e accettare commesse. 

Che fare? Nicola non è diverso da noi che fatichiamo con i cambiamenti. Stare nel conosciuto, anche non entusiasmante, è per tutti più facile che spostarsi nell’incognita del nuovo.

È per questo che tendiamo a restare imbrigliati nelle medesime situazioni per anni e, oserei dire, per generazioni.

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“Se cresci senza nessuno che ti dica che sei bello o che sei bravo, senza una parola di conforto che ti rassicuri dandoti il tuo posto al sole nel mondo, niente sarà mai abbastanza per ripagarti di quel silenzio.

Dentro resterai sempre un bambino affamato di gentilezza, che si sente brutto, incapace e manchevole, qualsiasi cosa accada. E non importa se, nel frattempo, sei diventato la più bella delle creature (F. Ozpetek)”, perché quel sottile dolore uscirà dai tuoi pori e dalla tua bocca finché non imparerai a lasciarlo affiorare, a dargli il suo posto al sole, a tranquillizzarlo sussurrandogli:

«Ti ho scovato dolorino, buongiorno!»

Il punto è vederla, quella sofferenza, che spesso si traveste da felicità come nel caso del post pubblicato da Elena: “Evviva! Traguardo raggiunto. Ringrazio i miei figli, gli amici e anche coloro che non si sono rivelati tali perché, quando si fa bingo, non c’è più spazio per i rancori”.

Questo a parole.

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Brescia. Parco Ducos. Il giovane procede a grandi falcate verso un anziano che, seduto sulla panchina, sta leggendo il Giornale di Brescia e, raggiuntolo, esclama: «Si ricorda di me?» Il vecchio abbassa il quotidiano e cerca nella memoria, senza trovarvi alcunché.

«Professor Rossi - dice il giovane - sono Mino Scafi, ero un suo studente».

«Che piacere rivederti - sorride il Prof - Cosa mi racconti?»

«Sono un insegnante - risponde orgoglioso il giovane - e, in verità, lo sono perché volevo essere per molti ragazzi l’educatore che lei è stato per me».

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Si narra di quel padre ricco che, per mostrare al figlio quanto fosse privilegiato, lo mandò per qualche giorno presso una famiglia di contadini.

Quando il bimbo tornò a casa esclamando quanto fossero fortunate quelle persone, il padre strabuzzò gli occhi e chiese: «In che senso, scusa?»

«Il nostro giardino - rispose il bambino - è illuminato dai faretti elettrici e circondato da un muro, il loro è infinito e rischiarato dalla luna; noi abbiamo la piscina con l'acqua trattata, loro un ruscello con rane, pesciolini e tantissime sorprese; noi andiamo al supermercato per comprare il cibo che cuociamo nel microonde mentre il loro, profumato dal fuoco, è coltivato nell’orto;

noi abbiamo lo stereo, loro ascoltano i grilli, gli uccellini e la pioggia che tamburella sul tetto; noi siamo sempre connessi al cellulare mentre loro sono collegati ai prati, agli animali, al cielo, agli amici, anche ai loro problemi che affrontano tutti insieme davanti al caminetto, con un bicchiere di vino in mano, per poi brindarci su».

L’uomo fremeva non sapendo da dove cominciare a confutare le assurde considerazioni del figlio che, tuttavia, lo lasciavano senza parole. Avrebbe voluto starsene zitto per un po’, l’imprenditore, ma non ora.

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