“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Nel leggere questo scritto di Calvino, il racconto di un’amica mi scorre dentro, insieme all’acquamarina del suo sguardo: «Succedeva 15 anni fa mentre stavo traslocando - racconta - per andata ad abitare sulle colline vicino a un grande carpino.
Non era solo per avvicinarmi all’albero che mi spostavo, sai? In verità speravo che, abitando lassù, la mia vita, seppur con gli stessi attori, sarebbe cambiata.