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Il blog felice
Der Blog vom Glück
The happy blog

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La primavera esplode sventolando una domanda: i nostri sogni sono pronti a sbocciare o si sono seccati? Che ne è di quei sorrisi di quando eravamo cuccioli capaci di trasformare in gioco un legnetto, un’ombra, un tappeto arrotolato a bordo del quale salpavamo per mari lontani?

Sapevamo sognare e trasformare il sogno in realtà e l’abbiamo fatto finché, nel bel mezzo di una sfida con un brontosauro, per farci ubbidire gli adulti ci hanno detto che il gigantesco rettile non esisteva.

Eppure noi lo vedevamo, ma a furia di sentirci ripetere che non era reale, abbiamo iniziato a pensare che fosse meglio dar loro ragione. È così che il processo di desertificazione del nostro potere creativo ha avuto inizio.

Non potevamo fare diversamente perché avevamo bisogno dell’approvazione dei genitori per sopravvivere e non potevamo nemmeno insegnare loro a creare una diversa realtà perché, immersi fino al collo nella materia, non ne erano più capaci.

Ci siamo quindi adeguati, i loro limiti sono diventati i nostri e, giorno dopo giorno, abbiamo sostituito la gioia di vivere dello spirito con fugaci appagamenti materiali. Ci siamo spenti insieme ai nostri sogni, intrappolandoci con le nostre stesse mani.

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Pamela è una manager brillante, la classica professionista quotata che ricopre ruoli di prim’ordine. Di notte, però, fatica a dormire e il mattino si alza in preda all’ansia perché il carico di lavoro la sovrasta e lei aspira alla perfezione senza poter tuttavia controllare le molteplici variabili in campo.

In una corsa a perdifiato nel traffico cittadino, Pamela sfreccia in ufficio travolta dal vortice degli impegni non fermandosi nemmeno nei fine settimana, quando eventi e cene richiedono la sua presenza. 

Cosa accadrebbe se rallentasse un po’? E a noi, cosa succederebbe? 

Fermarci ci metterebbe forse a disagio perché rischieremmo di vederci? Vederci davvero? Abbiamo mai provato a stare soli con noi stessi senza lavoro, telefono, televisore, computer, familiari, amici, animali, parole da leggere e incombenze da sbrigare?

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Posted by on in RAGGIUNGERE IL SOGNO

Quanti siamo ad avere talvolta la sensazione di trovarci in mare a bordo di una scialuppa senza vele in balia di fame e vento, ma a continuare a stare lì dove siamo senza riuscire a cambiare alcunché?

Eppure, nel nostro peregrinare, capita di imbatterci in barche invelate condotte da capitani integri che veleggiano sereni; incontrarli è una carezza che resta dentro ma spesso, invece che fermarci su quel tocco di pace, proseguiamo nel nostro affamato e confuso vagare.

Poi sorge l’alba di questa Epifania, festa della manifestazione in mezzo a noi del Dio vivente o, se preferiamo, del senso della vita, quello che ognuno di noi, che ne sia consapevole o meno, cerca seguendo le correnti della ragione, delle filosofie, delle religioni oppure correndo da un impegno all’altro, da un luogo all’altro, da una relazione all’altra, dalla  finzione mediatica di un “grande fratello” a quella di un “grande cuoco”, “grande sportivo”, “grande influencer”.

Pur di anestetizzare la fame di senso esistenziale, c’è chi si spinge finanche nelle devianze che, un attimo dopo la fugace illusione di benessere, aprono Fosse delle Marianne nelle quali le vittime precipitano conce e affamate più di prima. 

D’altronde ci nasciamo con il bisogno di cibo vitale perché, in quanto animali (dal latino ‘animalis’, che dà vita, animato), non sintetizziamo il nostro nutrimento partendo da sostanze inorganiche come fanno le piante, ma solo da composti organici precedentemente elaborati da altri organismi.

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Ho sete, ma non è la stessa sete di quando il cielo non gocciola più la sua acqua preziosa, adesso ho sete della mia linfa, quella che mi scorre dentro, quella che mi fa vivere.

I miei canali urlano prosciugati dal bostrico tipografo che, annidato sotto la mia corteccia, si sta nutrendo del mio sangue, goccia dopo goccia. Ho cercato di annegarlo con la resina, il maledetto, ma non ha funzionato. 

Il ladro mi è volato addosso alcune settimane fa ma non mi sono insospettito, ero sano e lui si è sempre occupato dei fratelli in fin di vita aiutando i deboli e i malati a decomporsi e favorendo, con la sua opera, la rigenerazione del bosco.

Dopo la tempesta di Vaia, tuttavia, grazie ai tantissimi alberi abbattuti e al cibo esageratamente abbondante a sua disposizione, mi avevano riferito che fosse diventato un traditore e che non guardasse più in tronco nessuno.

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Australia. «Sono un emigrato greco di 27 anni con moglie e figlie piccole. Sono stato assunto in Qantas come impiegato per mansioni di poco conto e di sera lavoro come cameriere. Non ho potuto fare grandi studi, ma mi considero fortunato per non essermi dovuto liberare di troppa zavorra intellettuale.

Di notte divoro libri di diritto, contabilità e statistica (mi sono iscritto all’università), ma sento altresì il bisogno di nutrirmi della voce dell’età classica, quella di generazioni di saggi e giganti del pensiero che forgiarono le idee più audaci che, attraverso l’oceano del tempo, sono arrivate fino a noi. T

uttavia, nonostante le centinaia di pagine lette, comprendo come queste mi abbiano sì descritto una canna da pesca, ma non insegnato a pescare».

1973. Prima lezione di pesca: riunione generale dei dipendenti Qantas. «Il direttore, che vedo come un astro lontano e irraggiungibile, cerca un volontario che, extra orario lavoro, si dedichi a informatizzare la compagnia.

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