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Il blog felice
Der Blog vom Glück
The happy blog

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Mi coglie di sorpresa il dialogo di Benedetto con il grande faggio preoccupato per l’edera che opprime il bosco. L’albero sussurra: «Alcuni fratelli sono soffocati al punto da non essere più riconoscibili».

Il ventiquattrenne riflette: «Non siete i soli - afferma - l’edera che si abbarbica sulle vostre cortecce cresce anche su noi umani; nel nostro caso è rappresentata dalle convenzioni familiari e sociali che stringono e co-stringono la nostra essenza individuale».

Il ragazzo decide di aiutare i verdi amici recidendo i vegetali parassiti che infestano i loro tronchi. La gratitudine del faggio si fa parola: «Il tempo che dedicherai a strappare l’edera dai miei compagni lo dedicherai a te stesso concedendoti il tempo di sentirti» perché liberare gli altri è il punto di partenza per vedere le proprie costrizioni, quelle che lentamente ci immobilizzano. 

Benedetto Magri, insieme a Sofia Mazzola, Patrizia Chirola, Sabrina Galli e Carlotta Bontempi, ha organizzato una mostra per far comprendere, con l’utilizzo della fotografia, della scultura, del colore, della parola e della musica, che esistono condizionamenti interiori che, come edere avvinghiate alla pelle, ci influenzano nelle azioni di ogni giorno.

D’altronde l’abbiamo provato tutti il fastidio di una benda troppo stretta e Benedetto, con determinazione e occhi limpidi sprofondati di cielo, si serve dell’arte per mettere in scena, insieme agli altri artisti, il sollievo di toglierci di dosso ciò che non ci appartiene.

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Posted by on in RAGGIUNGERE IL SOGNO

 

Non è un risveglio uguale agli altri, questo, per Sonia che oggi festeggia 65 primavere. La donna, oltre a incontrare per pranzo i suoi cari, si regalerà un caffé con Carla, ma non di primo mattino.

L’amica di sempre, infatti, a quell’ora accompagna il marito al mercato dell’antiquariato di Roncadelle. Mentre Sonia indugia in questi pensieri, Carla e Gianni stanno già girovagando fra le bancarelle del tempo che fu dove l’uomo trova sempre qualcosa di interessante. 

Quel giorno sono alcune fotografie ad attrarre la sua attenzione; le scova in una scatola di cartone, ritraggono persone nate nei primi decenni del secolo scorso. Gianni osserva quei volti estinti, i loro occhi sembrano fissarlo. Istintivamente ne sceglie alcuni. 

Trovo curioso desiderare immagini di persone sconosciute e intrigante scoprire che nessuno di quei volti si ritroverà per caso fra le mani di chi li ha acquistati. 

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Di Giancarlo sono gli occhi che mi restano dentro. Vivaci, limpidi, gioiosi.

Lo incontro in una magnifica conca della Valvestino che sembra sbucare dai boschi come si sbuca da una fiaba. La cascina di pietra dove il giovane abita è circondata da boschi e prati cosparsi di fiori. La scritta “benvenuti” campeggia sul cancello. La pace è totale. 

Con Giancarlo c’è Silvio, un bel vecchio, sguardo fiero, parole misurate all’essenziale, dignitosa serenità.

La storia.

Nel 2010 Silvio aveva 78 anni e abitava in questo sogno, che dista dal lago di Garda un’ora di auto e due ore di cammino, in compagnia di cavalli, capre, galline, conigli, cani e gatti.

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La primavera esplode sventolando una domanda: i nostri sogni sono pronti a sbocciare o si sono seccati? Che ne è di quei sorrisi di quando eravamo cuccioli capaci di trasformare in gioco un legnetto, un’ombra, un tappeto arrotolato a bordo del quale salpavamo per mari lontani?

Sapevamo sognare e trasformare il sogno in realtà e l’abbiamo fatto finché, nel bel mezzo di una sfida con un brontosauro, per farci ubbidire gli adulti ci hanno detto che il gigantesco rettile non esisteva.

Eppure noi lo vedevamo, ma a furia di sentirci ripetere che non era reale, abbiamo iniziato a pensare che fosse meglio dar loro ragione. È così che il processo di desertificazione del nostro potere creativo ha avuto inizio.

Non potevamo fare diversamente perché avevamo bisogno dell’approvazione dei genitori per sopravvivere e non potevamo nemmeno insegnare loro a creare una diversa realtà perché, immersi fino al collo nella materia, non ne erano più capaci.

Ci siamo quindi adeguati, i loro limiti sono diventati i nostri e, giorno dopo giorno, abbiamo sostituito la gioia di vivere dello spirito con fugaci appagamenti materiali. Ci siamo spenti insieme ai nostri sogni, intrappolandoci con le nostre stesse mani.

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Pamela è una manager brillante, la classica professionista quotata che ricopre ruoli di prim’ordine. Di notte, però, fatica a dormire e il mattino si alza in preda all’ansia perché il carico di lavoro la sovrasta e lei aspira alla perfezione senza poter tuttavia controllare le molteplici variabili in campo.

In una corsa a perdifiato nel traffico cittadino, Pamela sfreccia in ufficio travolta dal vortice degli impegni non fermandosi nemmeno nei fine settimana, quando eventi e cene richiedono la sua presenza. 

Cosa accadrebbe se rallentasse un po’? E a noi, cosa succederebbe? 

Fermarci ci metterebbe forse a disagio perché rischieremmo di vederci? Vederci davvero? Abbiamo mai provato a stare soli con noi stessi senza lavoro, telefono, televisore, computer, familiari, amici, animali, parole da leggere e incombenze da sbrigare?

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