L’incontro fra Elsi la bambina, Brigida la bambola e Franz lo scrittore, nel Parco Steglitzer di Berlino si consumò in un pomeriggio del 1924. La bimba piangeva disperata. “Franz le chiese che cosa le fosse successo - racconta la compagna di Kafka nel libro di Jordi Sierra i Fabra ‘Kafka e la bambola viaggiatrice’ - e venimmo a sapere che aveva perso la sua bambola.

Subito lui si inventò una storia plausibile per spiegare la sparizione. ‘La tua bambola sta solo facendo un viaggio, io lo so, mi ha scritto una lettera’. La bambina era un po’ diffidente: ‘Ce l’hai con te?’ ‘No, l’ho lasciata a casa, ma domani te la porto’. La bambina incuriosita aveva già quasi scordato le sue preoccupazioni e Franz se ne tornò subito a casa per scrivere la lettera”.

Quello che più mi ha colpito di questa vicenda è il desiderio di Kafka di dare conforto alla piccola e la dedizione assoluta che ci mise nel portare a termine la sua missione di ‘postino delle bambole’.

Franz, infatti, tornò a casa e si dedicò con grande impegno a scrivere la prima lettera della bambola nella quale Brigida diceva a Elsi di non piangere perché era solo partita per vedere il mondo, ma che le voleva bene e le avrebbe scritto ogni giorno per raccontarle delle sue avventure e, di seguito, prendeva forma un racconto che trasportava Elsi in una storia fantastica.

Fu questa la prima di una serie di missive nelle quali Franz narrava con umorismo le vicende rocambolesche di Brigida, non mancando mai di far sentire la bambina consolata, divertita, amata.

Tutto questo durò tre settimane finché giunse l’alba dell’ultima lettera, quella che arrivò insieme a una nuova bambola che lo scrittore consegnò a Elsi.

La bambina osservò perplessa quella Brigida così diversa da come lei l’aveva lasciata, ma tutto le fu chiaro quando lesse le ultime parole che dicevano: “I miei viaggi mi hanno cambiata”.

Molto tempo dopo Elsi trovò all’interno della bambola un biglietto con scritto: “Ogni cosa che ami, è molto probabile che tu la perderai, però alla fine l’amore muterà in una forma diversa”.

Questo racconto, che trae spunto da una storia vera (c’è anche chi dice che Kafka fece sposare la bambola), arriva per confortarci perché a tutti noi è capitato di perdere persone care o finanche cose alle quali attribuiamo un altissimo valore sentimentale ma, in qualche modo e forma, aiuta sapere che tutto ritorna. 

Questa consapevolezza non elimina il dolore, ma la disperazione, quella sì. E poi ci prepara al cambiamento perché, lo sappiamo, ogni giorno è un viaggio di trasformazione personale e collettivo nel quale “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” (Lavoisier).

Anche noi, come Elsi, abbiamo un portalettere che ci recapita messaggi d’amore per rassicurarci, farci sentire amati e rivelarci che tutto si ripresenta: il nostro postino è la natura che, con la stagione dei petali e dei colori, ci sta mostrando il ritorno delle foglie, dei germogli e dei fiori.

Il 3 giugno di quello stesso 1924 era un martedì di primavera e Kafka morì.

98 anni fa una bambina fece esperienza diretta della grandezza di un cuore attento al prossimo, forse anche per ricordarci che ci giochiamo la stessa possibilità. Ogni momento.

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