Bianca Brotto
Diffondiamo Bellezza
HEMINGWAY INSEGNA CHE LA VITA COINVOLGE TUTTI
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Il racconto è di Hemingway. Sulla scena c’è un topo e c’è un contadino che ha appena acquistato una trappola. Terrorizzato «il topolino fece il giro della fattoria avvisando tutti: c’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!
Il pollo alzò la testa e disse: Signor Topo, capisco che è una cosa grave per te, ma non mi riguarda. Non mi preoccupa affatto».
Il topo continuò a correre gridando il pericolo. Il maiale dichiarò di non poterci far nulla, idem la mucca che muggì: «Ohh Sig. Topo, mi dispiace per te ma a me non disturba».
Scoraggiato il roditore tornò nella sua tana. Avrebbe dovuto affrontare il problema da solo.
«Durante la notte sentirono uno strano rumore che echeggiò per la casa, come quello di una trappola che afferra la sua preda. La moglie del contadino si alzò subito per vedere cosa avrebbe trovato nella trappola.
Nel buio non vide che era un serpente velenoso con la coda bloccata nella trappola. Il serpente morsicò la moglie del contadino che dovette portarla d’urgenza all’ospedale, con la febbre alta».
Tornata a casa ancora con il febbrone, il marito corse a uccidere il pollo per prepararle un buon brodo.
I giorni passavano ma la donna non si ristabiliva. La notizia si diffuse e i parenti vennero a trovarla. Per dar loro da mangiare l’uomo macellò il maiale.
Qualche giorno dopo la moglie morì e, per offrire il pranzo ai tanti accorsi per il funerale, il contadino dovette far fuori la mucca.
«Il topolino dal buchino del muro guardò il tutto con grande tristezza».
Alla fine della storia Hemingway si rivolge a ognuno di noi: «Quando senti suonare la campana non chiederti per chi suona. Essa suona anche per te» verità che, quattro secoli prima, Leonardo da Vinci affermava con il suo «Renditi conto che tutto è connesso a tutto il resto» eppure, osservando oggi la fattoria mondo, le persone che non alzano la testa dai trogoli dei fatti propri sono ancora una moltitudine.
Mi chiedo: è davvero più interessante ruminare illusioni e bistecche che esplorare i personali carismi, quelli che oltre a farci sperimentare l’interconnessione, fanno di noi anime dotate di superpoteri?
Che c’è dell’altro e che non siamo qui solo per grugnire o beccuzzare l’abbiamo capito perché ognuno di noi ha provato a essere stirato dalla vita e, in quell’attimo di luminosa oscurità, a essere lambito dall’intima irraccontabile certezza di non essere solo. E di essere Immensità. È successo almeno una volta, ma spesso preferiamo far finta di niente per uniformarci all’illusione collettiva. Per continuare a dormire.
Alla resa dei conti il topolino scoraggiato squittì, per penna di Ernest, suo creatore, parole semplici e vere, per svegliarci.
Eccole: «La prossima volta che sentite che qualcuno sta affrontando un qualche problema e pensate che non vi riguardi, ricordate che quando uno di noi viene colpito, siamo tutti a rischio. Siamo tutti coinvolti in questo viaggio chiamato vita. Prendersi cura gli uni degli altri è un modo per incoraggiarci e sostenerci a vicenda».
Quella di Hemingway (e del topo) non è retorica ma verità o, se preferiamo, il sano egoismo di chi sa che il proprio bene passa attraverso il bene altrui. Sempre.
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