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Il blog felice
Der Blog vom Glück
The happy blog

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Centro di Milano. La piazzetta assolata è attraversata da una strada a senso unico che sparisce dalla mia vista oltre la curva. Due spedizionieri davanti a me sono fermi sulla carreggiata con i loro furgoni. Passano alcuni minuti. Tutto bloccato.

Qualcuno va a vedere cosa succede e torna riferendo di un’ambulanza ferma in mezzo alla strada. Spengo il motore. L’autista del primo furgone ha il vetro abbassato e inizia a suonare il clacson.

“Che senso ha? - mi chiedo - Evidentemente qualcuno sta male”. Ancora colpi di clacson, poi la mano dell’uomo si fissa premuta sul volante generando una sirena sgraziata che, dimentica dell’altrui malessere, dà voce al proprio mal di vivere.

Infine l’autista passa dal grido meccanico alle corde vocali, ululando parolacce contro il personale dell’autolettiga, in un progressivo aumento di oscenità. 

La tensione aumenta. L’uomo ha stretti tempi da rispettare per le consegne e non molla l’assalto verbale. Un infermiere lo raggiunge dicendo: «Mi spiace per l’attesa, ma pensi se fosse sua madre che sta male».

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Si narra di quel padre ricco che, per mostrare al figlio quanto fosse privilegiato, lo mandò per qualche giorno presso una famiglia di contadini.

Quando il bimbo tornò a casa esclamando quanto fossero fortunate quelle persone, il padre strabuzzò gli occhi e chiese: «In che senso, scusa?»

«Il nostro giardino - rispose il bambino - è illuminato dai faretti elettrici e circondato da un muro, il loro è infinito e rischiarato dalla luna; noi abbiamo la piscina con l'acqua trattata, loro un ruscello con rane, pesciolini e tantissime sorprese; noi andiamo al supermercato per comprare il cibo che cuociamo nel microonde mentre il loro, profumato dal fuoco, è coltivato nell’orto;

noi abbiamo lo stereo, loro ascoltano i grilli, gli uccellini e la pioggia che tamburella sul tetto; noi siamo sempre connessi al cellulare mentre loro sono collegati ai prati, agli animali, al cielo, agli amici, anche ai loro problemi che affrontano tutti insieme davanti al caminetto, con un bicchiere di vino in mano, per poi brindarci su».

L’uomo fremeva non sapendo da dove cominciare a confutare le assurde considerazioni del figlio che, tuttavia, lo lasciavano senza parole. Avrebbe voluto starsene zitto per un po’, l’imprenditore, ma non ora.

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L’incontro fra Elsi la bambina, Brigida la bambola e Franz lo scrittore, nel Parco Steglitzer di Berlino si consumò in un pomeriggio del 1924. La bimba piangeva disperata. “Franz le chiese che cosa le fosse successo - racconta la compagna di Kafka nel libro di Jordi Sierra i Fabra ‘Kafka e la bambola viaggiatrice’ - e venimmo a sapere che aveva perso la sua bambola.

Subito lui si inventò una storia plausibile per spiegare la sparizione. ‘La tua bambola sta solo facendo un viaggio, io lo so, mi ha scritto una lettera’. La bambina era un po’ diffidente: ‘Ce l’hai con te?’ ‘No, l’ho lasciata a casa, ma domani te la porto’. La bambina incuriosita aveva già quasi scordato le sue preoccupazioni e Franz se ne tornò subito a casa per scrivere la lettera”.

Quello che più mi ha colpito di questa vicenda è il desiderio di Kafka di dare conforto alla piccola e la dedizione assoluta che ci mise nel portare a termine la sua missione di ‘postino delle bambole’.

Franz, infatti, tornò a casa e si dedicò con grande impegno a scrivere la prima lettera della bambola nella quale Brigida diceva a Elsi di non piangere perché era solo partita per vedere il mondo, ma che le voleva bene e le avrebbe scritto ogni giorno per raccontarle delle sue avventure e, di seguito, prendeva forma un racconto che trasportava Elsi in una storia fantastica.

Fu questa la prima di una serie di missive nelle quali Franz narrava con umorismo le vicende rocambolesche di Brigida, non mancando mai di far sentire la bambina consolata, divertita, amata.

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Quante volte ci ritroviamo a dare valore al nulla? Decidiamo che una moneta virtuale che si mina o si estrae non da un giacimento minerario ‘in carne e ossa’, ma da un software, vale tot, che presenziare addobbati da alberi di natale in certi ambienti valga un altro tot, che farci vedere a bordo di vetture costose ci attribuisca un super tot.

Adesso osserviamo questi tot e sommiamoli uno all’altro; ci ritroveremo con un pugno di tot in mano (volevo dire mosche, ma il tot ha preso il sopravvento).

“Un niente carico di cose importanti - ci suggerisce la mente - e poi cose belle, perché stare in compagnia di persone educate in ambienti raffinati è piacevole, così come lo è provare la potenza di possenti motori, o avere la tranquillità di qualche decina di Bitcoin che fa capolino sulla schermata del pc”. 

Tutto vero e nulla da demonizzare, se non si perde di vista il senso reale della vita, quello che, ad esempio, subito emergerebbe se venisse a mancare per qualche tempo la corrente elettrica. O la salute. 

Non fraintendiamoci.

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Ore 21. Il ragazzo è alto poco meno di due metri ed è affamato. A bordo di un treno, Pietro sta sfrecciando verso casa con lo stomaco in subbuglio e il portafoglio vuoto.

Sulla carta di credito lui i soldi li ha ma scopre, dopo avere ordinato mezzo bufalo (che ci vuole tutto per sfamare un ragazzo di ventidue anni), che su quel treno si può pagare solo in contanti. D

elusione a mille e, più che scoramento, fame. In compenso i suoi vicini stanno ordinando l’altra metà del bufalo. 

Strategia numero uno. Pietro chiama sua madre: «Ho strafame - esclama - ma non accettano la carta».

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All’improvviso mi svegliai su un altro pianeta che aveva decretato una nuova regola, non difficile, ma che richiedeva una buona dose di concentrazione.

Si trattava di pronunciare le due lettere ‘gl’ come se fossero state una ‘r’ e ‘pa’ come ‘pi’: ‘egli’ sarebbe pertanto diventato sonoramente ‘eri’ e ‘palco’, ‘pilco’.

La motivazione era più che giustificata; un gruppo di autorevoli neuroscienziati aveva scoperto che ogni sostituzione fonetica attivava nel cervello nuovi circuiti neuronali aumentando del 90% i livelli di BDNF, una proteina che avrebbe sviluppato nell’uomo un quoziente intellettivo di nuova generazione. 

Non cogliere questa opportunità sarebbe stato folle e la classe politica sposò solerte la causa promuovendola con ogni mezzo possibile per il bene del mondo intero. 

La reazione della popolazione fu incoraggiante e in breve furono in molti a parlare secondo la nuova regola, un po’ per via della serietà delle argomentazioni scientifiche, un po’ per non incorrere nelle sanzioni via via introdotte affinché la società crescesse in modo uniforme;

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«Mi dispiace, ma io non voglio fare l'imperatore. Non è il mio mestiere. Non voglio governare né conquistare nessuno. (…) Tutti noi, esseri umani, dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l'un l’altro».

Queste le parole d'esordio del discorso pronunciato da Charlie Chaplin nel film “Il grande dittatore” da lui scritto, prodotto, diretto e interpretato. Uscito negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, il lungometraggio fu subito censurato in quasi tutta Europa fino al 1945, quando la guerra finì.

«In questo mondo c'è posto per tutti - continua il protagonista con parole attualissime - La natura è ricca, è sufficiente per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica. Ma noi lo abbiamo dimenticato. L'avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio. (…) 

Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi; la macchina dell'abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici. (…) Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità. Più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità, la vita è violenza. (…)

A coloro che mi odono, io dico: non disperate! L'avidità che ci comanda è solamente un male passeggero, l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano». 

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Ogni settimana
ho innaffiato un seme
che è diventato un fiore, infine un libro

LA BELLEZZA NEL QUOTIDIANO 

per racchiudere gli articoli pubblicati sul Giornale di Brescia

per dar voce alla bellezza che, sempre e comunque, impregna l'esistenza

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Paolo la tradiva. Continuamente. Sara viveva sulle montagne russe di un rapporto che le regalava sublimi altezze e profondissimi abissi. Ogni loro incontro conteneva già una promessa di dolore. Lei non riusciva a lasciarlo. A lui non era dato di comportarsi diversamente.

Nonostante entrambi avessero paura di abbandonarsi fiduciosi nelle braccia dell’amore, entrambi chiamavano quell’altalena ‘amore’.

«La settimana scorsa - racconta Sara - ho riflettuto sul tradimento di Giuda. Pensavo impossibile che un’amicizia come quella fra Giuda e Gesù potesse finire in quel modo, ma quando ho compreso che Giuda non ha consegnato Gesù per denaro, mi si è aperto un mondo. Il mio mondo».

Lunghi capelli castani incorniciano un viso arricchito da occhi color del buio, occhi profondi che riflettono il barlume di chi inizia a vedere la luce. 

Prosegue: «Giuda amava moltissimo il Maestro, lo aveva visto guarire tante persone, persino risuscitare i morti e pensava che, messo nella condizione obbligata di doversi difendere, Gesù avrebbe sbaragliato gli avversari con gli effetti speciali di cui era capace.

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«Una mattina di 40 anni fa, mentre mi facevo la barba ed ero davanti allo specchio con le guance insaponate - racconta sul palco di Ted con voce serena Arnaldo Graglia - mi sono chiesto cosa volessi fare da grande. Ero libero, il mio lavoro di manager mi piaceva, avevo denaro, perché dunque quella domanda?» 

Arnaldo in quell’istante percepì che oltre quella sua felicità doveva esserci molto di più e sentì che per sfiorare quel ‘di più’, avrebbe dovuto rinascere.

«In 24 ore - continua - ho abbandonato le vecchie abitudini che servono a sopravvivere, ma non a crescere, quali la mondanità, il tennis e gli amici con i quali la sera uscivo a divertirmi. Non ho mollato il lavoro dal quale mi sarei sganciato più tardi e sono qui, 40 anni dopo, a dirvi cosa ho scoperto».

Arnaldo paragona il suo percorso a un nuovo progetto che, per essere sviluppato, «andava coltivato con intenzione, pazienza, perseveranza, sentimento e attenzione verso gli altri». L’obiettivo finale era connettersi con tutto ciò che lo circondava: persone, animali, natura, cose. 

Da dove cominciare? «Dal non nuocere agli altri - dice - ma a me che non ero un santo e avevo le mie antipatie serviva un addestramento; lo trovai nell’amorevole gentilezza, una pratica che genera un effetto simile a quello della primavera quando, dopo l’apparente morte invernale, al primo raggio di sole spuntano germogli e fiori.

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Mi sono fatta ombra per anni. Senza saperlo. Camminando non ci facevo più nemmeno caso a quella forma scura che continuava a seguirmi, non certo per perseguitarmi, ma perché era, ed è, una mia creazione.

Oggi per la prima volta l’ho esaminata. Non la mia. È sempre così difficile vedere se stessi!

Ho osservato l’ombra del mio cane. Lui camminava davanti a me. A sinistra c’era il sole, in mezzo il lupo e alla sua destra una sagoma nera con coda e orecchie ben più grandi delle sue.

Ho chiesto all’ombra: «Esisti sempre?» Risposta: «No. Quando il sole è perpendicolare sulla tua testa, nel centro del giorno, nel centro di te, io non ci sono». 

È stato in quel momento che ho compreso che quando siamo verticalmente attraversati dalla luce, siamo nella Coscienza e lì, dove la beatitudine zampilla, non può esistere alcuna oscurità.

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“Hai mai notato un albero che sta nudo contro il sole, com'è bello? Tutti i suoi rami sono delineati, e nella sua nudità vi è una poesia, vi è una canzone. Ogni foglia è andata e sta aspettando la primavera. La primavera, quando arriva, riempie di nuovo l'albero con la musica di molte foglie le quali, nella giusta stagione, cadono e vengono soffiate via. E questo è il modo in cui va la vita” (Krishnamurti). 

La melodia gentile di queste parole mi riporta al nostro essere alberi; le radici più grandi sono le gambe, i nostri genitori, ma ce ne sono altre profonde che affondano nel terreno, gli avi,  l’ambiente dal quale abbiamo assorbito e assorbiamo gli elementi affettivi, materiali e culturali che ci condizionano.

Il tronco, il nostro busto, ci sostiene, è la struttura portante all’interno della quale si trovano numerosi canali sanguigni che trasportano la linfa dalle radici alla chioma, la testa.

Le nostre braccia protese nel mondo sono i rami già grossi, mentre le mani e le dita sono i più sottili deputati, oltre che alla presa sulle situazioni, a sganciarci di dosso le edere (persone) soffocanti che, abbarbicate alla nostra corteccia, ci succhiano linfa vitale. 

Le foglie, i fiori e i frutti rendono visibile il nostro stato di salute; quando, infatti, l’albero non dà frutti o perde le foglie, si chiama l’agronomo che, oltre a valutare la presenza di parassiti, l’esposizione della chioma al sole e delle radici all’acqua, fa l’analisi del terreno: se il suolo è povero (aridità personale) e manca di azoto, fosforo, potassio, il dottore prescrive il concime (un farmaco) che può essere fecondo (amicizie, risate, buon cibo…) o sterile (beni superflui, frequentazioni d’etichetta, l’apparire…).

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La storia di Carolina, ambientata ad Abano Terme, va raccontata perché l’invisibile che si fa visibile è un dono per tutti.

Premessa numero 1: Carolina è una professionista molto quotata che dedica una generosa porzione del proprio tempo, ad aiutare gratuitamente le famiglie afflitte da disagi psicologici.

Premessa numero 2: Durante il soggiorno terapeutico ad Abano, Carolina ogni mattina ringraziava anticipatamente la vita, per gli incontri e gli accadimenti che le avrebbero mostrato il suo essere una cosa sola con luniverso.

Premessa numero 3: come si suol dire in ambito contrattuale, ‘le premesse sono parte integrante del presente’ racconto.

È domenica. Carolina deve lasciare le Terme per tornare a casa dove la aspetta lincontro con un bambino al quale lei sta per risolvere un grave problema.

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Succede a tutti, prima o poi, di perdere un’amica e a volte non per via di un litigio o di un’incomprensione che calano grevi sulla relazione, ma per una scelta ineluttabile del destino.

Quando accade resta la bellezza del dono ricevuto e un’infinità di ricordi che mi rotolano addosso insieme a quella frase del fisico Tonelli che mi scrivesti:

“Lo stato di vuoto non è il nulla. Anzi può essere visto come un qualcosa che contiene già il tutto, un po’ come il silenzio non è, banalmente, assenza di suono, ma muto contenitore di tutti i suoni possibili, vibrazione di tutte le frequenze perfettamente accoppiate in opposizione di fase”.

Trovavi straordinaria l’espressione “muto contenitore di tutti i suoni possibili” e mi dicesti che il silenzio ci avrebbe fatto meno paura se fossimo state in grado di immaginarlo in questo modo. Avevi ragione. 

E poi c’è quella storia meravigliosa che mi raccontasti sull’amicizia di Damone e Finzia. Me lo ricordo quel giorno, era il 18 dicembre, mi dicesti che questo mito mi sarebbe piaciuto perché parlava di noi.

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«Che ritardo assurdo, ieri, tutta colpa tua» esordisce Andrea alzandosi dalla sedia con la tazzina di caffè in mano.

«Non è vero! Ero già pronta alle 7. Sei tu che ti sei perso via».

« Ho controllato una pratica - lo sguardo di Andrea si infuoca - solo perché ti stavo aspettando».

«E io facevo ordine mentre aspettavo te perché, se non faccio io, questa casa diventa una stalla».

«A me lo dici, che sono l’unico ordinato?»

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Entro trafelata nel supermercato passando sotto l’enorme scritta ‘aperto 7 giorni su 7’. Noto che anche il vicino panificio si è adeguato. Cosa direbbe Costantino?

Un messaggio sul cellulare mi avvisa che se non risponderò entro un’ora a una domanda sull'annuncio che ho pubblicato, la media del mio tempo di reazione, e di conseguenza il mio punteggio di venditore, si abbasseranno. Ma è domenica! Perché non modificano l’algoritmo inserendo nei calcoli il giorno di riposo settimanale? Costantino sarebbe d’accordo.

Come se non bastasse, sempre di domenica, una voce femminile mi contatta sul cellulare per scaricarmi addosso una raffica di imperdibili promozioni.

E i corrieri? Che cosa penserebbe Costantino del loro arrivare anche nei giorni di festa? Qualcuno sostiene sia una bella comodità, ma io mi chiedo: dov’è finita la domenica intesa come tempo di quiete? 

Chi ha concesso alle attività l’apertura ‘no stop’ ha mai riflettuto sulla decisione dell’imperatore romano Costantino il Grande di istituire, in tutto l’impero, il giorno di riposo settimanale?

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Gioia è appena entrata in casa grondante lacrime. Ludovica ha un “te l’avevo detto” che le solletica a fior di labbra, ma si trattiene. La ragazza prende a pugni il divano imprecando: «Me l’ha fatta ancora, maledetto! Avevi ragione tu, mamma, le persone indegne non vanno frequentate. Giuro che d’ora in avanti ti ascolterò». 

La donna riflette su quella frase a lungo ripetuta fra le pareti domestiche poi, con tono pacato, si rivolge alla figlia con parole diverse dal solito: «E se mi fossi sbagliata?»

Gioia alza la testa di scatto, ha il viso rigato di trucco e lo stupore addosso. Ludovica continua: «Ripercorrendo la mia storia, mi sono accorta di quante volte io abbia ricevuto poderosi insegnamenti proprio per tramite di persone che si sono comportate male».

L’espressione della giovane è incredula: «Vuoi dirmi che devo continuare ad andare a caccia di carogne?»

Ludovica prende posto sul divano a fianco della figlia. Il suo sguardo diretto e fiero sembra abitato da una sicurezza antica: «Ci sono due modi per crescere, tesoro: comprendere o sperimentare.

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«Mi piace tantissimo questa foto scattata per caso» mi racconta la giovanissima fotografa Martina Dall’Oglio.

«Come hai fatto a creare questo effetto?» domando.

«Niente! C’era una fonte luminosa che entrava nella stanza e, all’improvviso, se ne è aggiunta un’altra creata da un raggio di sole che, riverberando in uno specchio, è diventato un secondo faro. I due fasci, incontrando il bicchiere, hanno prodotto le due ombre».

L’entusiasmo di Martina è contagioso. Continua: «Quel che mi ha colpito non è tanto lo scatto, che comunque adoro, ma l’appuntamento con quell’istante venuto a ricordarmi che la separazione è solo un’illusione perché, in realtà, il due fa sempre uno». 

Le parole della ragazza mi si attorcigliano addosso, il mio sguardo resta fisso sull’immagine: vedo un calice, poi due, poi tre, ma il bicchiere resta sempre uno.

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Ieri mi è caduto addosso il tempo. È successo quando Lara mi ha raccontato la sequela degli appuntamenti quotidiani che la stringono in un’affannosa morsa. Anche i suoi figli sono tempestati di impegni e persino i nonni. L’impressione è che qualcuno li rincorra. Sempre.

Osservo il giorno che nasce con una tazza fumante di tè in mano; i volti delle persone che vorrei incontrare, e alle quali nemmeno riesco a telefonare, mi scorrono innanzi mentre un pensiero inedito sbaraglia tutti gli altri: “Non è vero che non hai tempo, è sempre il tempo di questo momento”.

Mi fermo. Il colore dell’aurora riempie l’aria. “È sempre il tempo di questo momento” mi ripeto mentre sorseggio il tè e mi godo il calore del liquido che mi scalda dentro; la sensazione di questo istante si dilata all’infinito, l’attimo si fonde con l’eternità. Sono qui. Niente passato, niente futuro. Solo respiro, osservazione, respiro.

Che sia un’illusione quella di non avere mai tempo? Non è che quando lo pensiamo lo creiamo perché non siamo nel presente? Ce la giochiamo sulla presenza, quindi, questa passeggiata sulla Terra?

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Quando Tea mi ha chiamato per darmi una bella notizia, che poi era una brutta notizia, diciamo per darmi una notizia, mi è balzata in mente la storiella zen del vecchio saggio che stava seduto all’ombra di una palma, in un’oasi poco lontano dalle porte di una città del Medio Oriente.

In questo luogo l’uomo aveva modo di incontrare mercanti e viaggiatori che si fermavano per abbeverare i cammelli. A volte qualcuno gli chiedeva informazioni.

Un mattino un giovane gli rivolse la parola dicendo: «È la prima volta che vengo da queste parti. Sai dirmi come sono gli abitanti della città?”. Il vecchio gli domandò: «Come erano quelli della città dalla quale provieni?». «Cattivi ed egoisti - affermò perentorio il giovane - per questo me ne sono andato».

«Così sono anche gli abitanti di questo posto» affermò l’anziano.

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