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Il blog felice
Der Blog vom Glück
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NUOVI ORIZZONTI

È lunedì 19 agosto, un giorno qualsiasi di una settimana qualsiasi. Valeria è appena uscita dal supermercato di Rho quando, avvicinandosi alla macchina, trova sul parabrezza un regalo.

Il primo pensiero è che si tratti di uno sbaglio e io mi chiedo: perché? Non siamo forse creature meravigliose che si meritano tutto il bene del mondo?

Se non ci sentiamo tali facciamoci qualche domanda prima di tornare da Valeria per leggere insieme a lei il biglietto incollato sul pacchetto che recita:

“Ciao, questo libro è per te! Amo leggere, odio buttare i libri e casa mia è piccola, quindi ho deciso di ‘salutarli’ così. Se non lo vuoi, per favore, non buttarlo. Lascialo su una panchina, su un’auto o in metropolitana. Magari qualcuno lo sta aspettando. Buona lettura”. 

Nessuna firma né dettaglio per risalire al mittente. Valeria scarta l’involto e si ritrova fra le mani il romanzo “Una piccola lavanderia a Yeonnam” di Kim Jiyun con, in copertina, la frase: “A volte basta un gesto gentile per ritrovare la felicità”. Esatto!

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«Proviamo a vedere alcune ‘cose’ in chiave prosaica e poetica - racconta Stefano Piroddi che, ad un gruppo di ragazzini, aveva chiesto di cercare sul web la parola ‘stella’ - I ragazzi lessero: “Agglomerati di gas che…”.

Questa è la definizione scientifica, ma quando rivolsero il quesito a Confucio, costui disse: Le stelle? Fori nel cielo attraverso i quali filtra la luce dell’infinito».

Lo scrittore cagliaritano aveva in seguito posto loro la stessa domanda in riferimento alla parola ‘rugiada che sul web veniva descritta come “una precipitazione atmosferica in forma liquida che…” e che Jim Morrison, musicista poeta, «definì: Le lacrime di gioia di un fiore al risveglio del mattino». 

Notando che le definizioni poetiche avevano emozionato i ragazzi, Stefano aveva concluso:

«Ecco come si governa l’invisibile, andando a trovare e valorizzare il lato poetico dell’esistenza che, dal più piccolo ciuffo d'erba alla più grande e importante delle stelle dell’universo, ha in sé un lato materiale esprimibile in termini prosaici e un lato spirituale esprimibile solo in termini poetici.

La spiritualità non è la religione, ma la poesia con cui definisci te stesso in rapporto all'essenza poetica di ciò con cui ti relazioni».

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Sulle prime non sapevo perché la storia di Carlo Acutis mi avesse così profondamente colpito, ma poi ho compreso: Carlo non solo si era posto fin da piccolo la domanda su quale fosse il senso della sua vita, ma aveva anche trovato una risposta.

Bambino vivace, simpatico, appassionato di animali, sport e computer, era sempre disponibile verso chi incontrava, conosciuto o sconosciuto che fosse. La fonte dell’amore che viveva e irradiava risiedeva nel suo alimento quotidiano: l’Eucarestia. 

Aveva sette anni quando, ricevendola, scoprì in quel sacramento una sorgente inesauribile di gioia e di conforto. «Com’è possibile - si chiedeva - che davanti a un concerto rock o a una partita di calcio ci siano file interminabili di persone mentre davanti al Tabernacolo, dove è presente realmente Dio, dove impariamo a relazionarci con gli altri e ad affrontare con leggerezza tutto ciò che la vita ci porta, non succeda la stessa cosa?» 

L’Ostia di cui Carlo si cibava andando a messa ogni giorno era la sua «autostrada per il cielo» perché, diceva il futuro santo, «una vita è veramente bella solo se si arriva ad amare Dio sopra ogni cosa.

Per fare questo abbiamo bisogno dell’aiuto stesso di Dio, cioè dei Suoi sacramenti che ci aiutano a diventare chi potenzialmente già siamo». 

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Torino. Piazza Castello. Stiamo con amici parlando di visitare un palazzo quando, davanti alla facciata della Chiesa di San Lorenzo, Francesca, puntando il dito sull’imponente portone verde, accenna ad una cupola che vale la pena d’essere vista. È questa fantasia della vita che mi affascina, perché la cupola di San Lorenzo, alta 55 metri e assolutamente meritevole, in realtà non c’entra niente: lì dentro qualcosa di ben più prezioso ci stava aspettando.

Varchiamo il portale e ci ritroviamo sbalzati dall’allegria esuberante della piazza al profondo silenzio che, a lasciarlo entrare, ci conduce in un mondo altro. La prima cappella, con l’altare dedicato all’Addolorata, è l’antica chiesetta (XII sec) di Santa Maria “ad praesepem” che il Duca Emanuele Filiberto di Savoia dedicò a San Lorenzo come ringraziamento per aver vinto i francesi il 10 agosto 1557 a San Quintino (battaglia che restituì ai Savoia Torino e gli altri territori).

A quel tempo Casa Savoia era da oltre cent’anni proprietaria della Sindone e il Duca, per abbreviare il cammino a Carlo Borromeo che aveva fatto voto di andare a piedi in Francia per onorare il Santo Sudario se la peste fosse cessata (cessò nel luglio 1557), portò la Sindone a Torino dove la ostese per la prima volta nell’ottobre del 1578 sull'altare dedicato a San Lorenzo. L'arcivescovo arrivò a piedi da Milano e, fin qui, è storia.

 

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