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Il blog felice
Der Blog vom Glück
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NUOVI ORIZZONTI

Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

Quando ho saputo dei 10000 che il 29 dicembre hanno lasciato le loro case, sono volati da ogni anfratto del Pianeta a Hyderabad, in India, e hanno meditato 7 ore al giorno per creare un’ondata di pace e armonia a beneficio del mondo intero, mi sono detta: quanto amore! 

Questi cuori pulsanti non sono partiti per una vacanza, ma per aiutare tutti noi perché, diceva Maharishi Mahesh Yogi, quando l’1% degli abitanti di un luogo si riunisce nella pratica della meditazione trascendentale (percentuale che si abbassa alla radice quadrata dell’1% con il programma avanzato MT-Sidhi di volo yoga) si crea un flusso di coerenza che influisce beneficamente su tutti.

Detto “effetto Maharishi”, basato sul ripristino del funzionamento neurologico equilibrato del cervello, è stato oggetto di 50 ricerche peer-reviewed e 23 studi pubblicati su riviste scientifiche di rilievo che hanno dimostrato come la sintonizzazione mentale intenzionale, coordinata e allineata verso un unico obiettivo,

porti alla diminuzione della criminalità, della violenza, degli incidenti, delle malattie e persino degli atti di terrorismo e delle guerre, nonché il miglioramento di altri indicatori sociali. 

L’assemblea dei 10000 di questo inizio 2024 è stata organizzata dall’Unione Globale degli Scienziati per la Pace (GUSP) che, nata nel 2005 dal fallimento della Conferenza di Revisione del Trattato di non proliferazione nucleare, è composta da molti partecipanti alla Conferenza stessa;

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

Già lo sento, mi arriva di fronte, ma è come se la sua voce mi entrasse dalla nuca. È il Sig. An (Anno Nuovo) che parla. «E adesso? - chiede - Nata sei nata e pochi giorni fa, a Natale, rinata. Quanto tempo vuoi ancora sprecare?»

«Sprecare? Cosa intendi?» chiedo.

«Tu che dici?» Il tono perentorio di An mi riverbera dentro come un fastidio che mi segnala qualcosa che ho accantonato, un nodo da sciogliere. An mi fissa serio.

Non è il caso di imboccare la via di fuga delle battute, l’ho già fatto l’anno scorso e non l’ha presa bene.

Chiudo gli occhi e affondo in me. Sfoglio la sceneggiatura della mia storia e lascio che i dispiaceri affiorino. Compaiono volti maschili e femminili, ferite che ancora sanguinano e, in centro al petto, un groviglio non ancora dipanato.

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«La mamma se ne andò in uno stupendo pomeriggio fra le montagne di Cortina d’Ampezzo. Quel giorno lei cercò e aspettò me perché ricordava che quando la invitavo a meditare le dicevo: «Dài che ci alleniamo a morire“.

Lì per lì non reagiva proprio bene ma, via via il tempo passava e sorella morte la chiamava sempre più, quando mi vedeva, non potendo parlare, mi faceva un cenno che significava: andiamo ad allenarci.

Successe anche quel giorno; restammo soli per un’ora, io e lei, a godere dello spazio eterno fra i delicati respiri dello stato meditativo.

Alla fine colse, dopo un piccolissimo rantolo, il fiore del silenzio nella trascendenza e il suo volto si distese magnificamente nella bellezza che tutti ammiravano in lei. 

Per il suo funerale chiesi di evitare gli abiti scuri. Vicino alla chiesa un passante mi domandò: “È un matrimonio?” Risposi: “Sì, con l’infinito“. Poi vide la bara e scappò.

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«Avevo 4 anni quando mia madre entrò in ospedale. Ero preoccupato: per la prima volta sarebbe mancata da casa 14 giorni. L’intervento andò bene, ma lei si addormentò. Quel sonno, mi dissero, si chiamava coma.

Due anni dopo fu papà a darmi la notizia: “La mamma si è svegliata, corriamo da lei". Partimmo trepidanti ignari che il suo cervello avesse cancellato, oltre a noi, 10 anni di vita.

Mamma ci mise 2 inverni per tornare a una sorta di normalità e papà altri 2 per ammalarsi e morire». 

Ha 10 anni, Marco, la nuova sofferenza è un macigno immenso e in terza media, per sopportarlo, inizia a tagliarsi. L’ha visto fare ad alcuni ragazzi e gli hanno spiegato che quando ci si fa male tutto il resto sparisce: dolore scaccia dolore.

Ci prova. Funziona. Inizia a incidersi le braccia più volte al giorno, ne ha bisogno per sopravvivere. 

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«Uno sparviero così parlò all’usignolo dal variopinto collo mentre, avendolo ghermito con gli artigli, lo stava portando in alto, fra le nubi, e quello, trafitto dagli artigli ricurvi, pietosamente gemeva (…): A che ti lamenti, o infelice?

Ti tiene uno che è più forte; dove ti porto io, tu andrai (…), ti divorerò oppure ti libererò a mio piacere. Stolto è chi vuole combattere contro i più forti: non riporterà alcuna vittoria e, oltre al danno, subirà pure la beffa - racconta Esiodo nel poema Le Opere e i Giorni, VII secolo a.C e poi, rivolgendosi ai giudici -

O Perse, ascolta la giustizia e non alimentare la prepotenza; la prepotenza è dannosa all’uomo debole; nemmeno il grande facilmente la può sopportare, anzi egli stesso rimane oppresso e va incontro a sventure.

Migliore è l’altra strada, verso la giustizia: la giustizia al termine del suo corso vince la prepotenza, e solo soffrendo lo stolto impara».

Mentre uno dei più grandi poeti dell’antichità, raccontandoci il modello negativo di una società basata sull’ingiustizia e sulla legge del più forte, auspica per l’uomo un comportamento diverso da quello delle bestie, noi assistiamo al massacro dei nostri fratelli in nome di pretesti (camuffati da ragioni) costruiti a tavolino dalle fiere umane assetate solo di denaro e di potere. 

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