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Il blog felice
Der Blog vom Glück
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NUOVI ORIZZONTI

Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

Il lunedì ha girato la boa della mezzanotte in via Campagnola 17 a Manerba del Garda passando il testimone al giorno che sconvolgerà l’esistenza di Daniele il quale, ignaro di tutto, sta dormendo. 

Questa storia affonda le radici nell’inverno di 13 anni fa quando Daniele Benedetti faceva il meccanico di automobili e, nel fine settimana, «seguivo le gare sportive di auto, moto e Kart - racconta - e non solo perché mi piacevano. Adoravo fotografarle».

Mentre i motori erano sempre più performanti nel passare da 0 a 100 in pochi secondi, l’appassionato fotografo amava riportarli da 100 a 0 imbrigliando fulmineo rombi e secondi con la sua ‘macchina del tempo’ in grado di captare il movimento zero. 

Poi, 5 anni fa, Daniele ha perso il lavoro e anche la ragazza. Primo tonfo. «Ero a terra, ma avevo il sogno di aprire un negozio e mi sono lanciato». 

La bottega di Daniele è diventata in questi anni un punto di riferimento per i fotoclub locali e per i fruitori dei suoi servizi perché c‘è chi usa lo zoom per inquadrare, sparare e uccidere, e chi lo usa con il cuore per donare eternità a un istante. 

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Ne ho incontrati due, questo mese, di uomini ‘fantini’. Situazioni diverse e anni uno il doppio dell’altro, ma stessa fermezza interiore.

Il primo è Virgi, un magnifico baffo che la premurosa consorte riempie di attenzioni e che, alla boa dei 50 anni di matrimonio, non manca di stimolarlo e, altresì, di riprenderlo.

«Non devi parcheggiare qui ma all’ombra» esclama lei in un assolato lunedì di giugno giustamente preoccupata per le pietanze deteriorabili che lasceranno in auto e, mentre lui piazza la vettura in pieno sole, lei abbassa la voce e commenta «Non mi ascolta mai».

Scendono dall’auto e si allontanano. Virgi è immerso nei suoi pensieri e si accorge della frase che la moglie gli sta ancora ripetendo, dopo qualche metro.

Solerte torna alla macchina, la sposta oltre la curva sotto l’ombrello profumato dei tigli, raggiunge la dolce metà che, con alcune amiche, lo sta aspettando davanti a un imponente castello medioevale e, sorridendo, racconta loro la storia di quel maniero fermo nel tempo.

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Sono attratta dalla donna seduta sulla panchina del lungolago. L’espressione del suo viso è serafica. Ha una mano in tasca e osserva un gelsomino fiorito intrecciato ad un tralcio di rose gialle.

Prendo posto sull’altro lato della panchina. Scorrono lenti alcuni minuti, alla fine volgo lo sguardo verso di lei sperando non se ne accorga. Se ne accorge e subito mi saluta.

«Ha sentito che profumo?» dice. 

Certo che l’ho sentito, sto respirando anch’io quell’effluvio delizioso, ma è la sua serenità che più di ogni altra cosa respiro e, racconta di qui, racconta di là, alla fine confesso:

«Lei emana una sconfinata pace. È per questo che mi sono avvicinata. Sulle prime non capivo cosa fosse ma poi qui, seduta in silenzio vicino a lei, ho colto un benessere profondo e mi sono chiesta: c’è una strada che porta a questa pace o è una condizione personale sua da sempre?» 

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«Come è emerso in me il pensiero fisso che la vita fosse uno schifo, me lo ricordo benissimo. Era la vigilia di Natale del 1986 e, chiuso in camera mia, stavo ascoltando musica heavy metal a tutto volume. Nonostante fossi giovanissimo, la mia esistenza si riempiva di alcol, droga e gruppi Rock inneggianti alle tenebre e alla ribellione.

Il mio idolo era Tommy Kiefer, il chitarrista dei Krokus. Tommy aveva fama, soldi, avventure e migliaia di fan, lui sì che era felice. Io, invece, mi sentivo vuoto e aggiungevo alle droghe leggere quelle più pesanti nel tentativo di placare la voragine interiore che, inesorabilmente, si ingrandiva.

Ma un orizzonte l’avevo: Tommy. Fino a quel mercoledì di dicembre quando il mio “dio rock star” si suicidò uccidendo in me la convinzione che, per star bene, bastasse diventare come lui.

Il pensiero che non valesse la pena vivere e che l’unica soluzione fosse farla finita, iniziò a impossessarsi di me.

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«Sono nato a Cremona il 17 marzo 1993, figlio di uno sbaglio e di un grande amore. Sono cresciuto con i nonni che mi hanno insegnato la compassione e a mangiare la frutta.

La mia infanzia profuma di biscotti, pesche e piedi nudi d’estate. Sono un bambino felice e solitario. Leggo libri e sospiro sempre per la ragazza sbagliata. Poi sono adolescente, non ho un rapporto con mio padre, infrango ogni regola e disdegno lo studio accademico.

Continuo a leggere, però, e continuo a inseguire la ragazza sbagliata. Ho diciott’anni e mi sento vecchio. Fallisco, ancora e ancora. “Finirai per inscatolare merendine in fabbrica” dicono i miei insegnanti.

La ragazza sbagliata, dopo tanto sospirare, mi fa un grande favore spezzandomi il cuore in un milione di piccoli pezzi.

“Questa società è profondamente sbagliata - penso - Abbiamo tutti rinunciato ai nostri sogni e ci va bene accontentarci e scegliere un dolore facile anziché un’impervia vittoria”. 

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