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Il blog felice
Der Blog vom Glück
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RAGGIUNGERE IL SOGNO

 

Non si era iscritta all’università di Torino per prepararsi ad una professione, Ilona. La ragazza dai lunghi capelli scuri aveva un’idea che le avrebbe garantito un’ottima resa economica con il minimo sforzo cerebrale.

Il fatto, poi, che negli anni ’80 non esistessero i test, facilitava l’accesso agli atenei anche ai giovani animati da scopi tattici più che culturali. Ilona, nello specifico, si era iscritta all’università di Torino con l’unico obiettivo di sposare un farmacista mettendo a frutto i propri talenti quali impegno, perseveranza e un décolleté di tutto rispetto.

Inserita abilmente nel tessuto studentesco, superò gli esami di Fitoterapia e di Anatomia per i quali era richiesta memoria e non ragionamento; alle 500 pagine di Chimica generale non arrivò mai, ma furono proprio quelle le più importanti allorché, per l’occasione, propose a Mirco di studiare a casa sua dove, nel pomeriggio, sarebbero stati indisturbati.

«Proviamoci - disse Ilona appoggiando a mo’ di cozza la mano sulla spalla del compagno con un sorriso ammiccante e un’esperta scollatura - se poi non rendiamo, torniamo in biblioteca». Al farmacista in erba l’idea sembrò buona e le sessioni di studio ebbero inizio. 

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È riduttivo definirlo un romanzo; ‘La scuola degli Dei’ è una voce che ci parla dentro. "Un libro che è per sempre”, si legge all’inizio,

“una mappa, un piano di fuga il cui scopo è mostrare il percorso che un uomo comune ha seguito per sfuggire al racconto ipnotico del mondo, alla descrizione lamentosa e accusatoria dell’esistenza, per deragliare dai solchi di un destino già tracciato”.

Io l’ho assimilato a piccole dosi perché le prime pagine a tratti mi irritavano e “non si può immaginare quanto sia insopportabile la saggezza del grillo parlante per un Pinocchio, mosso da fili invisibili, che ha già deciso di restare di legno”.

Ho inoltre l’abitudine di filtrare ciò che mi arriva, qualsiasi sia la fonte, e di trattenere solo quanto sento risuonare in me. In questo caso leggevo che “il mondo è così perché tu sei così”, ma per crederci dovevo sperimentarlo.

Lunedì mattina. Una mail mi assesta un colpo che mi arriva dritto al petto. A seguire, nell’arco di un’ora, mi piovono addosso altre situazioni spiacevoli. 

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Ogni giorno incontriamo insetti di vario tipo, alcuni dei quali ci arrivano proprio addosso; se ci si posa sul dito una coccinella, ci sentiamo leggeri quasi fosse una gentilezza ricevuta, ma una mosca che prende di mira il nostro naso è fastidiosa come un ricordo che ci disturba.

Se siamo tormentati da un pensiero ricorrente, ci grattiamo di continuo punti da una zanzara, ma se dentro di noi ospitiamo un dolore antico o una rabbia ostinata, quella sarà una zecca il cui rostro, penetrata la cute, è entrato in profondità per succhiarci sangue e sorrisi.

La differenza la fa l’insetto o la nostra reazione al suo contatto?

Margherita, quando ha un tormentone che la assedia, insorge con un «Sono stufa di star male, basta!» E si scrolla di dosso il problema.

Luca, invece, i fastidi li rimugina per giorni, mesi, anni, incapace di sganciarli. L’una può affrancarsi dalle seccature perché le vede disgiunte da sé, l’altro diventa un tutt’uno con ciò che lo molesta.

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“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.

Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. 

Nel leggere questo scritto di Calvino, il racconto di un’amica mi scorre dentro, insieme all’acquamarina del suo sguardo: «Succedeva 15 anni fa mentre stavo traslocando - racconta - per andata ad abitare sulle colline vicino a un grande carpino.

Non era solo per avvicinarmi all’albero che mi spostavo, sai? In verità speravo che, abitando lassù, la mia vita, seppur con gli stessi attori, sarebbe cambiata.

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Seduti per terra su vaporosi cuscini rossi, quelle che sembravano chiacchiere fra cugini riuniti dai nonni per la consueta cena natalizia, furono semi gettati sul terreno fertile di un’esistenza che, da quel momento, cambiò.

Quella sera Antonia aveva raccontato dei suoi studi in una prestigiosa università romana, Gianni del suo primo impiego da neo laureato, Stefano, al quinto anno di liceo, del suo improponibile sogno di studiare alla Bocconi.

«Non arrenderti Ste, tu hai grosse capacità. Magari trovi una borsa di studio» avevano insistito i ragazzi.

Pochi giorni dopo, in macchina con la madre e il fratellino nel tragitto di ritorno verso Bari, Stefano disse che avrebbe voluto provare il test della Bocconi.

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