La primavera esplode sventolando una domanda: i nostri sogni sono pronti a sbocciare o si sono seccati? Che ne è di quei sorrisi di quando eravamo cuccioli capaci di trasformare in gioco un legnetto, un’ombra, un tappeto arrotolato a bordo del quale salpavamo per mari lontani?
Sapevamo sognare e trasformare il sogno in realtà e l’abbiamo fatto finché, nel bel mezzo di una sfida con un brontosauro, per farci ubbidire gli adulti ci hanno detto che il gigantesco rettile non esisteva.
Eppure noi lo vedevamo, ma a furia di sentirci ripetere che non era reale, abbiamo iniziato a pensare che fosse meglio dar loro ragione. È così che il processo di desertificazione del nostro potere creativo ha avuto inizio.
Non potevamo fare diversamente perché avevamo bisogno dell’approvazione dei genitori per sopravvivere e non potevamo nemmeno insegnare loro a creare una diversa realtà perché, immersi fino al collo nella materia, non ne erano più capaci.
Ci siamo quindi adeguati, i loro limiti sono diventati i nostri e, giorno dopo giorno, abbiamo sostituito la gioia di vivere dello spirito con fugaci appagamenti materiali. Ci siamo spenti insieme ai nostri sogni, intrappolandoci con le nostre stesse mani.
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