Il blog felice
Der Blog vom Glück
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VIVERE CON PASSIONE

«Ancora oggi non so cosa dicessero quelle due donne che cantavano e, a dire la verità, non lo voglio sapere. Ci sono cose che non devono essere spiegate. Mi piace pensare che l'argomento fosse una cosa così bella da non poter essere espressa con parole semplici. Quelle voci si libravano nell'aria ad un’altezza che nessuno di noi aveva mai osato sognare.

Era come se un uccello meraviglioso fosse volato via dalla grande gabbia in cui eravamo, facendola dissolvere nell'aria e, per un brevissimo istante, tutti gli uomini di quella prigione si sentirono liberi» dice Morgan Freeman nel film «Le ali della libertà», perché cantare, lo sappiamo, libera.

Non l’abbiamo vissuta in tanti quell’euforia che ci riempiva quando, attorno a un falò o a una fontana, si cantava?

Qualcuno con la chitarra che intonava i pezzi classici di Battisti e compagni c’era sempre e giù tutti a seguirlo, stonati e intonati, incuranti di cosa pensasse il mondo, accomunati dalla medesima leggerezza e, soprattutto, non più divisi ma riassunti in una voce sola: la voce della gioia. 

Io usavo il canto come antidoto contro il mal d’auto o di mare. Un giorno sul traghetto cantavo ad alta voce e si è in breve formato un coro spontaneo perché, ammettiamolo, se non siamo stoccafissi, il canto ci contagia.

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Stanotte il lago ruggisce come il mare. Le onde si infrangono sulla battigia mentre due anziani giocano fra i cavalloni tenendosi per mano. Si girano. Mi guardano. Sorridono. Il collegamento a Nino e Jole è immediato.

Lui pugliese, lei di Nave, i nonni di Manila Barbati amavano scherzare con la vita.

«Di cavolate ne facevano tante - ricorda la bravissima attrice - tipo una sera perdere tutti i soldi al Casinò ma ogni volta, passato il primo colpo, il nonno esclamava: però, che vita!»

Nino era direttore di banca, amava l’arte, scriveva poesie per i compleanni, trovava una parola buona per tutti e, non prendendosi mai sul serio, affrontava la quotidianità con leggerezza sdrammatizzando sempre.

Un esempio: quando chiamava le quattro figlie a tavola, mentre Jole canticchiava appoggiando i fiori freschi sul tavolo, nella confusione del momento Nino simulava di sedersi dove mancava la sedia mangiando con le posate fantasma. 

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Anche in quel mattino graffiante di freddo l’uomo se ne stava lì, immobile, seduto per terra all’ingresso della chiesa di Santa Maria Crocifissa Di Rosa. Non chiedeva nulla. Ai suoi piedi un piattino di plastica rosicchiato dal tempo conteneva qualche 100 Lire. 

Alta, capelli candidi racchiusi in un crocchio elegante, lungo loden tirolese, l’affascinante signora in quella chiesa ci andava ogni mattina alla prima messa e la presenza del clochard dalla barba lunga, gli occhi miti e l’età indefinibile, suscitava in lei mille interrogativi.

«Bisogna io faccia qualcosa per lui - mi disse una sera con lo sguardo acceso da uno dei suoi pericolosi entusiasmi - e se gli procurassi un roulotte?»

Io:«Al limite un camper che non ha bisogno della macchina».

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Inviato da il in VIVERE CON PASSIONE

Ci sono parole che si scrivono senza sapere il perché. Semplicemente arrivano. È quanto è successo a Paola Brighenti che, una mattina, si è svegliata con l’impulso di riscrivere in chiave moderna alcune pagine del Vangelo. Per i dieci giorni successivi la scrittrice si è ritrovata immersa nella sua e nostra «spesso inconsapevole ricerca di infinito, umano, insopprimibile bisogno di amore». 

D’altronde, scrive nel suo libro “Dalla Parola alle parole” (Arpeggio Libero Ed.), «anche se i contesti sono così differenti, non sono mutate le esigenze spirituali» e oggi come allora l’essere umano, senza amore, non è niente.

Ecco allora che Paola, nel suo immedesimarsi in «quell’io che era l’interlocutore al quale Dio si rivolgeva» ci fa sentire come il pastore che adora Gesù bambino, Bartimeo il cieco, Zaccheo il peccatore, Maria di Magdala, Tommaso o, nel racconto «Invisibile presenza», i discepoli di Emmaus. È quest’ultima la storia di due fratelli che perdono il padre all’improvviso. 

«Incrociarono lo sguardo. Per un attimo. E negli occhi smarriti Francesco e Giorgio riconobbero lo stesso acuto dolore, la stessa angosciosa domanda: E adesso? Poi ci furono gli abbracci, le strette di mano dei parenti, degli amici, del personale della ditta. Gesti automatici, perfino sorrisi, tutto compiuto come in sogno, in una recita dal copione già scritto».

Nello svolgersi degli eventi che seguono i due ragazzi, come i discepoli di Emmaus, imparano a riconoscere la figura viva del padre comprendendo di averlo cercato nel modo sbagliato; «Lui non era fuori», ma presenza invisibile dentro di loro. «Toccava a loro renderla visibile».

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Era iscritto all’I.T.I.S Castelli l’adolescente dai capelli lunghi un metro, ma disertava quasi sempre l’aula per girovagare in città. Non aveva vizi né dipendenze fatta eccezione per l’indomita urgenza di respirare il cielo. Era un bisogno sconfinato, il suo, che le pareti scolastiche non riuscivano a contenere.

Alla seconda bocciatura fu iscritto alla Scuola Bottega e mandato a imparare il mestiere del pasticcere in un laboratorio a pochi metri da casa.

Marco iniziò a frequentare scuola e bottega ma, di lì a poco, riprese a sgambare per la città avendo cura, prima di tornare a casa, di sporcarsi di farina o di marmellata. Il trucco funzionò finché suo padre non lo scoprì e, con un silente e secco pugno in faccia, lo rispedì ai suoi doveri.

Per qualche giorno, sotto il controllo serrato di un’insegnante, Marco filò dritto ma, non appena la profe allentò la stretta, riprese il largo come un pirata che, con il vento in poppa, vive di libertà.

Il ragazzo era così, incontenibile e indomabile, e mi chiedo quale trasformazione alchemica l’abbia portato, oggi, a vivere tutto il giorno (e se deve seguire la lievitazione con pasta madre delle sue creazioni anche tutta notte) fra le pareti del laboratorio della pasticceria di Sarezzo dove la gestazione di una brioche dura tre giorni e di un panettone due. 

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