«Ancora oggi non so cosa dicessero quelle due donne che cantavano e, a dire la verità, non lo voglio sapere. Ci sono cose che non devono essere spiegate. Mi piace pensare che l'argomento fosse una cosa così bella da non poter essere espressa con parole semplici. Quelle voci si libravano nell'aria ad un’altezza che nessuno di noi aveva mai osato sognare.
Era come se un uccello meraviglioso fosse volato via dalla grande gabbia in cui eravamo, facendola dissolvere nell'aria e, per un brevissimo istante, tutti gli uomini di quella prigione si sentirono liberi» dice Morgan Freeman nel film «Le ali della libertà», perché cantare, lo sappiamo, libera.
Non l’abbiamo vissuta in tanti quell’euforia che ci riempiva quando, attorno a un falò o a una fontana, si cantava?
Qualcuno con la chitarra che intonava i pezzi classici di Battisti e compagni c’era sempre e giù tutti a seguirlo, stonati e intonati, incuranti di cosa pensasse il mondo, accomunati dalla medesima leggerezza e, soprattutto, non più divisi ma riassunti in una voce sola: la voce della gioia. 
Io usavo il canto come antidoto contro il mal d’auto o di mare. Un giorno sul traghetto cantavo ad alta voce e si è in breve formato un coro spontaneo perché, ammettiamolo, se non siamo stoccafissi, il canto ci contagia.
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