Adorava il tintinnicare delle sartie di «Goletta», Marco, campanellini di mare, quelli della sua barca a vela, che lo accompagnavano interiormente anche nei giorni di traffico cittadino allorché, a tre ore di macchina dal porto di Marina di Pisa, il solo immaginare quel frinire argentato lo catapultava nel pozzetto della sua «Comet 1000» a godersi i sommessi gridolini delle altre compagne di mare in paziente attesa di ritrovarsi con gli ormeggi sciolti e le vele issate.
La fretta, in porto, non esisteva. Mentre in città Marco viveva con il piede pigiato sull’acceleratore, quando arrivava a Marina di Pisa e la visuale si apriva sui ciottoli bianchi adorni di scogli della spiaggia cittadina, i minuti iniziavano a dilatarsi. Era il segnale: «Sei arrivato».
Sbalzato in una dimensione altra, quella del silenzio del cielo e della libertà di togliersi giacca, cravatta e pure il titolo di ingegnere, Marco raggiungeva l’amata bussola marina quella che, oltre a rendergli sopportabili le difficoltà personali e professionali, nel fine settimana gli permetteva di staccare la spina e, soprattutto, di dedicarsi a lei. Goletta, infatti, aveva bisogno costante di cure che Marco espletava di buon grado non certo per dovere;
era passione, la sua, e la passione non stanca nemmeno quando, all’arrivo, invece che ascoltare subito il richiamo del mare, Marco esaminava lo scafo per individuare possibili danni, controllava i winch e la catena dell’ancora, sistemava il pozzetto e poi entrava, si cambiava d’abito, organizzava la cambusa, puliva gli interni e verificava gli impianti elettrici e idraulici. 
Infine, ispezionate cime, scotte e drizze e data un’occhiata a vele e motore, si rilassava nel pozzetto dove, con birra e patatine, attendeva gli amici per immergersi nel blu.
Forward veloce avanti nel tempo ed ecco Marco, oltre la boa degli ottantacinque anni, a dover prendere la decisione cruciale.
Il fisico non gli permette più, in navigazione, di scattare veloce in caso di necessità e, in porto, nemmeno di occuparsi di Goletta che ha bisogno di essere accudita come merita.
«La questione si pose in questi termini - racconta - Goletta aveva bisogno di qualcun altro che potesse dedicarsi a lei. Non cercai quindi chi me l’avrebbe pagata di più, ma chi l’avrebbe trattata meglio».
Quel giorno non vidi un rapporto fatto di uso egoistico e smodato dell’altro, ma una relazione ricca di attenzioni (esaminare lo scafo, il sartiame) e di coccole (manutenzioni, pulizia).
Mi chiedo: non dovrebbe essere questa la realtà di ogni coppia anche quando il partner non è una barca, una macchina o un animale, ma un essere umano da non trattare come merce da usare per i propri svaghi, ma come gioiello da onorare?
Sogno o realtà?
Sogno per chi vive prigioniero del mero istinto, realtà per coloro che, oltrepassata la dimensione animalesca, diventano veri uomini e vere donne dotati di un cuore gonfio d’amore e, chissà, forse anche di un’anima a forma di barca a vela che, con le sue cicatrici di sale, non teme la tempesta perché sa che in ogni onda c’è una voce e in ogni sacca di vento un canto che la riconduce all’inizio della libertà.

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#18 ottobre 2025
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