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Il blog felice
Der Blog vom Glück
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Messaggi recenti del blog

 

Arriva dritta al cuore, Chiara Amirante, nel condividere con centinaia di ragazzi le parole che a lei hanno cambiato la vita: «La verità vi farà liberi».

Il punto di partenza, dice la fondatrice della Comunità Nuovi Orizzonti, è proprio il nostro dono di fabbrica: la libertà. Il traguardo? La gioia piena «non l'ebrezza di un momento, ma la pace del cuore che nessuno ti può togliere».

L’errore di base Chiara lo racconta così: «Dottore, io che non bevo, non fumo, non mi drogo, non ho ludopatie, non vado a donne, non perdo tempo sul cellulare, posso vivere fino a cent’anni? Risposta: Sì, ma cosa campi a fare?»

Sembra infatti che lo star bene sia tutto un togliere, quindi il contrario della libertà, quando invece la vera libertà è il non essere schiavi delle dipendenze e delle abitudini malsane che, mentre elargiscono fugaci appagamenti, ci svuotano dentro.

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

 

Ugo è un bambino che fa fatica a seguire le regole. A nulla valgono le sgridate e i castighi degli adulti. L’argomento salta fuori in macchina mentre Margherita e Bianca stanno viaggiando a bordo di una Panda.

«Ugo è un po’ monello» esordisce Margherita.

La risposta di Bianca è immediata: «Non è monello. È piccolo».

Margherita: «Ci vuole pazienza con un bambino così».

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Era Capodanno la prima volta che si incontrarono. A Gg (Giangiacomo) di quella sera passata a suonare la chitarra e a cantare restarono indelebilmente dentro solo due occhi e un sorriso: Gaia. Era il 1995. Avevano 30 anni.

A seguire Gaia e Gg percorsero dieci anni di strade diverse prima di ritrovarsi e non lasciarsi più. «Ci siamo sposati nel 2011. Non abbiamo avuto figli, ma noi due ci bastavamo. Eravamo complici, amici, amanti. Una storia d’amore perfetta.

Poi, il 30 luglio 2015, a Gaia venne diagnosticato un raro melanoma oculare e da quel giorno lei, che era medico, quando le parlavo della gioia di invecchiare insieme mi fissava dicendomi: non succederà».

Eppure le cure sembravano funzionare tanto’è che, superato il controllo di giugno 2021, la coppia trascorse un’estate finalmente serena. Quattro mesi dopo, tuttavia, la TAC non dava scampo. Tentarono a Tel Aviv una nuova terapia che non funzionò. 

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Inviato da il in RIDERE

AUDIO ARTICOLO QUI

È giorno di mercato nel caratteristico borgo bresciano. Le bancarelle straripano di cibo, vestiti, scarpe. Il cartone appeso vicino ad un cumulo di maglie recita a caratteri cubitali “Grandi Marche 10€”. Gilda sta scavando nel mucchio. Piera, un’altra donna del paese, la raggiunge.

Il dialogo tra le due renderebbe meglio in dialetto stretto.

«Devo dirtene una grossa, Piera, ma 'fa sito’ perché non voglio noie» sbotta agitata Gilda. Piera, con un paio di mutande ascellari in mano, scruta interrogativa l’amica. «Metti che me le portano via, ‘te set’» continua misteriosa Gilda.

«Ma cosa? Oh, comunque ‘me dise nient’» la rassicura Piera soprannominata “la radio”.

«Le mie patate hanno il virus - bisbiglia Gilda all’orecchio della comare stringendo fra le dita una maglia fucsia XXL - Non l’ho detto neanche al mio Primo perché ‘te set’ che si agita subito» aggiunge. 

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Inviato da il in NUOVI ORIZZONTI

 

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 SEMINARIO LA VOCE DEL CUORE

Non l’avrei mai detto che, all’ombra della pergola immersa nella Maremma selvaggia, i nostri cuori sarebbero sprofondati intimamente insieme, e nemmeno mi sarei immaginata che riscrivere da una diversa angolatura alcuni episodi della nostra vita avrebbe sortito cambiamenti così profondi. Eppure è avvenuto, ed è stato liberatorio.

Gabriel Garcia Marquez dice che «la vita non è quella vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda nel raccontarla» ed è proprio questo che è accaduto in quell’anfratto incantato di mondo, allorché i vissuti personali messi nero su bianco sono riemersi scarcerando all’istante il cuore dalla pressione che lo opprimeva.

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Madonna di Campiglio, gioiello incastonato tra le Dolomiti del Brenta, antiche custodi che disegnano in cielo profili maestosi, luogo di rigenerazione per l’anima che, fra foreste di abeti, volpi furtive e timidi camosci, ritrova se stessa. 

D’inverno fiocchi immacolati trasformano il paesaggio in un regno incantato dove il tempo rallenta, il respiro prende il ritmo della montagna e gli sciatori, pennellate variopinte su tela bianca, danzano sulle piste.

Qui, in una piana ad alta quota, viveva Sergio. L’anziano pastore, accompagnato dallo sguardo nascosto del francolino di monte, conduceva nei mesi estivi le capre ai pascoli fioriti lungo ruscelli scintillanti, mentre nella stagione del candore offriva volentieri una tazza di tè agli escursionisti che si spingevano fin lassù.

Un giorno passò un giovane stanco e inquieto. «Come fai a vivere qui senza rumori e senza parole?» chiese con voce carica di frenesia cittadina.

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“«Non so, Mì, è che secondo me dentro ‘sta vita c’è qualcosa di enorme che, incasinati come siamo, non riusciamo a cogliere. Per questo mi fermo e do un taglio alle mie abitudini: voglio vedere cosa succede (…)

voglio fare qualcosa di diverso da quello che faccio tutti i giorni perché così non vado da nessuna parte, o meglio, a te può anche sembrare che vada dove voglio perché ho un lavoro di successo, un fidanzato di successo, una reputazione di successo, ma, Mì, che differenza c’è fra successo e cesso?»

Ci fu un attimo di esitazione. «Uno ha lo scopino, l’altro no?» rispose di getto Milva”. Riuscivano sempre a scherzare su tutto ma quella volta, per Veronica, era davvero tempo di bilanci. E svolte. 

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La sera stava già scollinando nella notte quando Roberto Vecchioni ricevette la telefonata di un caro amico che gli chiedeva come stesse.

«Mi sento molto solo» rispose Roberto.

«Vuoi che venga lì?» chiese l’amico.

«Sì».

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«Era lo zio di mia madre, ma per tutti è sempre stato “lo zio di Bolzano" - ricorda Claudia - una presenza vaga che, quando zia Marta ci invitava da loro per le vacanze, transitava sì dalla grande cucina vista Dolomiti, ma come elemento a se stante privo di collegamento con l’allegria della casa e della zia.

Un giorno sparì. Attesi un po’ prima di chiedere: -Dov’è lo zio?- -Nel suo studio- rispose Marta. -Sempre? A far cosa?- -Chissà!- sorrise lei schiacciandomi l’occhio. Una sera mi appostai vicino allo studio e, quando lo zio uscì: -Cosa fai lì dentro?- gli domandai. -Scrivo-. -Cosa?- -Racconti- rispose lui sparendo nel wc.

Non aveva mai scritto, lo zio. Scoprimmo il suo operato solo a Pasqua allorché, invitati da zia Marta per il consueto pranzo, lo zio mise sotto l’albero di legno delle uova colorate tanti pacchettini identici con il nome dei presenti e altri anche per gli assenti. Non aveva mai fatto regali, lo zio. A nessuno.

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L’ospedale scelto da Arturo distava trecento chilometri da casa. Il cinquantenne era stato operato, ma il delicato intervento non era andato bene e la degenza in rianimazione era stata lunga.

Per i dottori non era ancora fuori pericolo, ma lui si sentiva meglio e quella sera, trasferito in reparto, aveva anche mangiato. 

La moglie Clara uscì per la prima volta dalla camera sollevata. Giunta nel grande atrio d’ingresso e incontrate due eleganti signore che avevano trovato chiuse le porte principali, Clara fece loro strada verso un’uscita laterale.

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Il racconto è di Hemingway. Sulla scena c’è un topo e c’è un contadino che ha appena acquistato una trappola. Terrorizzato «il topolino fece il giro della fattoria avvisando tutti: c’è una trappola per topi in casa! C’è una trappola per topi in casa!

Il pollo alzò la testa e disse: Signor Topo, capisco che è una cosa grave per te, ma non mi riguarda. Non mi preoccupa affatto».

Il topo continuò a correre gridando il pericolo. Il maiale dichiarò di non poterci far nulla, idem la mucca che muggì: «Ohh Sig. Topo, mi dispiace per te ma a me non disturba».

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«Il girone dell’inferno si innescava ogni volta che Flavia tornava a casa con i quaderni pieni di segni rossi. Le ripetevamo di concentrarsi, ma i voti peggioravano, gli insegnanti si lamentavano, noi la aiutavamo con i compiti ma Flavia, le nostre spiegazioni, non le capiva. Non ti dico che nervi, per non parlare dello scoramento.

Ci sentivamo tutti sbagliati» racconta Nicola Monti che, per aiutare chi, come lui, patisce non solo i problemi scolastici, ma anche le discriminazioni e l’impreparazione che circondano la vita di un ragazzo con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA),

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«Le mogli dei colleghi di Paolo si pavoneggiavano: l’altro giorno mio marito mi ha regalato rose bellissime. Oppure: mio marito mi ha regalato una collana splendida. Guardate!

Io, invece, non potevo esibire niente e neanche aspettarmi un gesto galante da Paolo. Almeno non nel senso inteso generalmente.

Alle feste guardavamo gli altri ballare. Lui rideva come un matto, io protestavo - racconta Agnese - Allora mi faceva finire di parlare poi mi chiedeva: Agnese, ma tu perché stai con me?

Io non ti do niente di tutto questo. Non sono il tipo di marito che torna a casa sempre allo stesso orario, si mette le pantofole, si siede davanti al telegiornale e poi nel pomeriggio porta la moglie in giro per una passeggiata. 

Faceva una pausa e mi diceva ancora: lo sai perché stai con me?

Perché io ti racconto la lieta novella. La prima volta che me lo disse rimasi spiazzata.

Mi misi a piangere. Erano lacrime di felicità». 

Paolo sussurrava ad Agnese che la lieta novella avrebbe tenuto vivo il loro amore, «perché l’amore ha bisogno di mantenersi fresco con una novità ogni giorno che non è il fiore o un regalo qualsiasi.

Perché tutto passa. Io ogni giorno mi devo rinnamorare di te. E tu di me. Inventandoci qualcosa di diverso».

Nonostante le difficoltà che Agnese e Paolo Borsellino dovettero affrontare per la scelta che lui aveva fatto, «la lieta novella che mi raccontava ogni giorno era già tutto per me. E anche le giornate pesanti diventavano allegre con le sue parole»

racconta Agnese che, mentre combatteva contro una grave malattia, decise undici anni fa di raccontare la sua quotidianità con il magistrato vittima di Cosa

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Non ho mai saputo se la storia di Tea fosse vera, ma è la prima che mi è balzata in mente nell’incontrare Marco Luzzatto e Gabriele Gandola.

Tea, una bimba dal cuore curioso, viveva in una pianura sconfinata abitata da paesaggi silenti che alla piccola sembravano tutt’altro che vuoti. Un mattino, ai piedi della grande quercia, Tea incontrò un vecchio che stringeva tra le mani una radiolina.

«Che cosa senti quando non senti?» le chiese a bruciapelo.

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È USCITO IL NUOVO LIBRO DEGLI ARTICOLI
AGGIORNATO A TUTTO IL 2024: 
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Alcuni escursionisti svizzeri appassionati di civiltà maya sono in Messico per visitare un tempio segreto. Giunta l’ora di pranzo trovano ristoro in una “Fonda” locale.

Mentre stanno mangiando notano l’arrivo di una famiglia che, come vestiario e mercanzia che si porta appresso, tradisce un modo di vivere antico. Fritz, affascinato dalla particolarità di quella gente, esclama: «Voglio parlare con loro».

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ESPERIENZA DI SCRITTURA EMOZIONALE

VIDEO

SEMINARIO CON BIANCA BROTTO
DA 3 AL 6 APRILE 2025

LA VOCE DEL CUORE

in Maremma presso

IL DAINO BIANCO
Manciano (GR)

Immersi nel verde infinito ascolteremo il sussurro del cuore lungo le tappe della nostra vita e lo scriveremo lasciando la nostra penna libera di volare in leggerezza sul foglio senza filtri, senza giudizi, senza paure. Ci scopriremo e reinventeremo.

Ci lasceremo andare, finalmente.

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Gli chiedo come stia e, nonostante le sofferenze e i drammi della sua storia stravolta da malattie e lutti, Enrico risponde sempre «benissimo». Per scelta.

Quando pongo la stessa domanda a Federico, uomo con tutte le fortune del mondo, devo invece aprire l’ombrello per ripararmi dalla grandinata di sciagure che mi scarica addosso. Un giorno in cui mi sembrava sereno azzardai un «come stai?» Fu l’ultima volta.

A uno che sta male per scelta, infatti, tu non puoi chiedere come si sente quando la vita scorre per il meglio, perché lo costringi a tirar fuori di tutto pur di dimostrarti che lui, felice, non potrà mai esserlo. Iniziò infatti a parlarmi dei figli non abbastanza bravi, di un problema di lavoro e così via. 

Enrico vive in un mondo a colori sempre circondato da persone che volentieri lo vanno a trovare. Federico, solivago e prigioniero della mente, è incapace di ammettere a se stesso di essere inconsapevolmente dipendente dal grigiore del pessimismo.

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È stata una serata potente quella che Nicolò Govoni mi ha regalato perché a Cremona, nell’Aula Magna, non c’erano solo bellezza, entusiasmo, intelligenza, competenza; soprattutto c’era amore. Lo stesso amore che, nell’avvicinare a fine serata il trentenne, ho percepito nel suo sguardo. Lo stesso amore che ha ammantato di dolcezza e pace inenarrabili il mio cuore.

Ciò che questo ragazzo ha realizzato in sette anni con la sua organizzazione umanitaria «Still I Rise» non ha a che fare solo con i successi raggiunti e nemmeno con le due nomination al Premio Nobel per la pace, ma con la forza che lo muove dentro, la stessa che alberga in ognuno di noi e che ci permette di realizzare il nostro ikigai, termine giapponese che significa: «Ciò che ci spinge ad alzarci la mattina e a lottare».

L’ikigai viene rappresentato come una sorta di mandala dove «ciò che amiamo», «ciò di cui il mondo ha bisogno», «ciò per cui ci pagano» e «ciò che sappiamo far bene» si compenetrano dando vita al nostro sogno in un mix di passione, missione, vocazione, professione. 

Sapere che la nostra ragion di vita scaturisce da ciò che amiamo fare è il punto di partenza da meditare nelle profondità silenti del nostro Natale.

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Anche in quel mattino graffiante di freddo l’uomo se ne stava lì, immobile, seduto per terra all’ingresso della chiesa di Santa Maria Crocifissa Di Rosa. Non chiedeva nulla. Ai suoi piedi un piattino di plastica rosicchiato dal tempo conteneva qualche 100 Lire. 

Alta, capelli candidi racchiusi in un crocchio elegante, lungo loden tirolese, l’affascinante signora in quella chiesa ci andava ogni mattina alla prima messa e la presenza del clochard dalla barba lunga, gli occhi miti e l’età indefinibile, suscitava in lei mille interrogativi.

«Bisogna io faccia qualcosa per lui - mi disse una sera con lo sguardo acceso da uno dei suoi pericolosi entusiasmi - e se gli procurassi un roulotte?»

Io:«Al limite un camper che non ha bisogno della macchina».

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Forse se lo sentiva, Luigi Lucchi, che non ci sarebbe arrivato a questo Natale per lui un po’ triste. Sarebbe stato infatti, dopo 15 anni, il primo da ex Sindaco di Berceto.

Niente consueta Ordinanza natalizia: «Guardate tutto il Bello che c’è nelle persone! Riempite di gioia tutti quelli che incontrate».

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