«Milano fumava. Era asfalto rovente che scorreva in rivoli di sudore fra i palazzi oppressi dalla calura. L’aria si attaccava umida ai polmoni, pesando afosa nei petti stanchi (…)
Ruben, appoggiato al bancone, sorseggiava un bicchiere di menta fresca; era la sua decima estate alla bottega e non gli era mai passato per la mente di chiudere i battenti per andare in vacanza.
In fondo cos’era la vacanza? Una miglior condizione di vita, un cambio di ritmo per ricaricare le pile, ma a lui tutto questo succedeva già. Quando Ruben lavorava ad una scarpa, lo faceva con passione, curandola nei dettagli, anche quelli non visibili;
nascondeva sempre, fra suola e tomaia, una manciata di parole scritte a china, parole positive, parole che avrebbero fatto bene agli acquirenti, calpestando, insieme a loro, asfalto e terra. E talvolta fiori.
Le sue creazioni erano preghiere di cuoio marchiate di sorrisi. Quando usciva dal laboratorio amava passeggiare di notte, o al mattino presto, lungo il naviglio, ascoltando il rumore dei propri passi (…)
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