Bianca Brotto
Diffondiamo Bellezza
IL TORMENTO CELATO DIETRO UNO SGUARDO
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Ha un paio di mutande tristi la donna che fa autostop sulla provinciale; me ne accorgo quando la faccio salire in auto perché i jeans che indossa sono così sformati da lasciarle scoperto metà sedere.
I grandi occhi azzurri, distanti fra loro, sembrano aver tirato il suo viso, le labbra rosse e gonfie, identiche nel colore ai capelli, si muovono di continuo. Lo sguardo, un tormento.
Sale prendendo velocemente posto al mio fianco. Si volta verso di me, non mi dice per dove le serva il passaggio come se la sua urgenza fosse un’altra. Subito chiede: «Hai una sigaretta?» e, prima ancora che io apra bocca, aggiunge «Che poi non fumo, sai?»
Le rispondo che non ne ho.
«Devo andare al Crociale di Manerba» dice.
«Mi spiace, ma non arrivo fin lì, però ti porto un pezzetto in quella direzione».
«Tu dove vai?» mi chiede.
«Mi fermo a comprare la carne».
«Carne? Che carne prendi?» incalza velocissima.
«Sono scarti che do al cane».
«Che cane hai?»
«Un pastore tedesco».
«Anch’io ne avevo due, bellissimi, erano campioni e vincevano tutte le gare, sai?» si affretta a dire.
Ci stiamo avvicinando al punto in cui la lascerò, le chiedo da dove venga. «Dalla Repubblica Ceca, ma sono in Italia da quando ero bambina». Dal forte accento che ha, non si direbbe.
C’è un’agitazione innaturale in lei, come se avesse urgente bisogno di qualcosa.
Rallento nell’avvicinarmi alla mia meta di fronte alla quale c’è un bar. La donna indica il locale ed esclama: «Aspetta, lasciami qui! Devo andare a pagare una birra».
«Sì, mi stavo giusto fermando, sono arrivata anch’io».
«Sai come è la gente eh? Non vorrei trovarmeli sotto casa per una birra» e, così dicendo, apre la portiera, scende dalla macchina e, senza salutarmi, attraversa in fretta la strada stringendosi al petto la borsa sdrucita di ecopelle verde.
La guardo allontanarsi; la striscia bianca del voluminoso fondoschiena è ancora scoperta, le mutande color carne sono una sottile parentesi fra i pantaloni e la giacchetta lisa coperta da una maglia buttata su. Corre.
Due minuti. Le nostre strade si sono incrociate per soli due minuti nei quali la donna ha avuto bisogno di fumo, di alcol e di dire cose. Lo sguardo, un tormento.
Mi chiedo: Quando si è innescata nella sua vita la spirale che se l’è portata via, trascinandola verso la prostituzione e la dipendenza da sostanze?
E quando si innesca nelle nostre vite quel punto di non ritorno, che al momento non vediamo, ma che sancisce l’imbocco di una strada che inesorabilmente ci porterà a situazioni che mai avremmo pensato di vivere?
L’avvio di ogni processo di distruzione è nascosto fra le pieghe di ogni giorno, ma noi siamo così distratti che non ci badiamo a quella frase che diciamo o a quel fumo o bicchiere che accettiamo e, lentamente, il processo inizia.
L’altro lato della medaglia è che funziona così anche quando evolviamo; a volte è un nuovo silenzio di cui siamo capaci, altre un commento o una frase acida che non facciamo uscire dalle labbra, altre ancora un sorriso che sentiamo sgorgare dal profondo.
Non c’è alcun giudizio per le nostre e altrui cadute, ma solo l’amorevole osservazione della natura umana che ci costituisce.
Osservo la donna sparire dietro le tendine di plastica del bar e, nel profondo del cuore, la tengo con me, per coccolarla un po’.
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