Bianca Brotto
Diffondiamo Bellezza
SENZA LIBERTA' INTERIORE TUTTE LE ALTRE LIBERTA' NON SERVONO
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Era in dubbio nel 1940, dopo un mese di carcere, se divulgare o meno il suo diario «Libertà in prigione» lo psichiatra fondatore della Psicosintesi Roberto Assagioli, ma lo pubblicò
conscio di come le prigioni dell’esistenza riguardino tutti e di come da ognuno di noi dipenda «il far uso di ogni circostanza a scopi costruttivi per allenare e sviluppare qualche parte del proprio essere, o per preservare la serenità, o per ricavare interesse, gusto e gioia da qualsiasi cosa» scrive.
Capita infatti di trovarci in situazioni, nostre o altrui, nelle quali il mondo, d’improvviso, ci crolla addosso. O ci implode dentro. Penso a quando da sani e autosufficienti ci ritroviamo ammalati e dipendenti dagli altri, o quando eventi dolorosamente affilati ci frantumano il cuore. Di colpo siamo al muro della vita. Vuoti. Inermi.
Eppure, quando Assagioli è stato messo in carcere accusato di attività pacifiste e internazionaliste invise al regime fascista, ha deciso di trasformare questo contrattempo della vita in un’occasione di crescita e rinnovamento interiore.
Lo scatto fondamentale, per lui, è stato capire che, seppur privato della libertà fisica, nessuno poteva privarlo della possibilità di scegliere quale valore e significato assegnare a quell’evento.
«Potevo ribellarmi internamente e imprecare; oppure potevo rassegnarmi passivamente e vegetare;
potevo lasciarmi andare ad un atteggiamento malsano di autocompatimento e assumere un ruolo di martire;
potevo affrontare la situazione con un atteggiamento sportivo e con senso dell’umorismo, considerandola un’esperienza interessante.
Potevo trasformare questo periodo in una fase di riposo, in un’occasione per riflettere tanto sulla mia situazione personale quanto su problemi scientifici e filosofici;
oppure potevo approfittare della situazione per fare un allenamento psicologico di qualche genere; infine, potevo farne un ritiro spirituale.
Ebbi la percezione chiara che l’atteggiamento che avrei preso era interamente una decisione mia: che toccava a me scegliere uno o molti fra questi atteggiamenti e attività; che questa scelta avrebbe avuto determinati effetti, che potevo prevedere e dei quali ero pienamente responsabile.
Non avevo dubbi su questa libertà essenziale e su questa facoltà e sui privilegi e le responsabilità che ne derivavano».
Questo scritto è un inno alla libertà impregnato del desiderio di aiutare il prossimo ad affrancarsi dalle prigioni personali attingendo al proprio potere interiore.
Le ultime righe parlano della necessità di costruire un’umanità consapevole di «quella libertà interiore senza la quale tutte le altre non servono (e) non bastano a dare vera pace e appagamento, quella libertà che, come so per esperienza, può essere esperita pienamente stando in prigione».
Roberto in carcere era libero perché aveva accettato la sua condizione e deciso altresì cosa farne.
E noi?
Lo percepiamo il potere interiore che ci permette di scrivere la nostra storia con l’indomita libertà di chi fluisce lungo il fiume degli eventi, o siamo prigionieri della mente che, ribellandosi a quanto accade, ci costringe a nuotare controcorrente raccontandoci di continuo la sua rabbiosa o dolorosa versione dei fatti?
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