«Era lo zio di mia madre, ma per tutti è sempre stato “lo zio di Bolzano" - ricorda Claudia - una presenza vaga che, quando zia Marta ci invitava da loro per le vacanze, transitava sì dalla grande cucina vista Dolomiti, ma come elemento a se stante privo di collegamento con l’allegria della casa e della zia.
Un giorno sparì. Attesi un po’ prima di chiedere: -Dov’è lo zio?- -Nel suo studio- rispose Marta. -Sempre? A far cosa?- -Chissà!- sorrise lei schiacciandomi l’occhio. Una sera mi appostai vicino allo studio e, quando lo zio uscì: -Cosa fai lì dentro?- gli domandai. -Scrivo-. -Cosa?- -Racconti- rispose lui sparendo nel wc.
Non aveva mai scritto, lo zio. Scoprimmo il suo operato solo a Pasqua allorché, invitati da zia Marta per il consueto pranzo, lo zio mise sotto l’albero di legno delle uova colorate tanti pacchettini identici con il nome dei presenti e altri anche per gli assenti. Non aveva mai fatto regali, lo zio. A nessuno.