Dicembre è un mese accelerato, c’è tensione nell’aria, sta per consumarsi il dramma del Natale, lo si avverte nei discorsi e sul lavoro fin dai primi giorni. L’umanità sembra entrare in una centrifuga che la shakera e restituisce dopo l’Epifania, insieme a un sospiro di sollievo.
È come se questa non fosse una notte, ma un crinale che divide l’anno fra il prima e il dopo stasera.
Il perché l’ho capito il mese scorso a Malta, una terra sferzata dal vento e abbracciata dal blu inchiostro del mare, uno Stato che filodiffonde musica per le strade addobbate, una Repubblica con 359 chiese attive su 315 Km2 di superficie, un territorio dalla profonda tradizione cattolica caratterizzato da un’economia avanzata e da grande religiosità ma, mio sentore, da assenza di spiritualità.
A Malta manca il cuore, un po’ come nella finzione di certi Natali (che non si vede l’ora che passino) tesi nell’allestimento di un palcoscenico dove si consumerà un evento troppo grande per trovar spazio nella piccolezza dei cuori umani, ma l’organizzazione del quale, nella cura della cornice di musiche e regali, nei sorrisi pitturati in volto e nelle parole di circostanza, potrà stemperare l’inconscio disagio dato dal non senso di tutto ciò.
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