What is it that you are dreaming of? Is there something that you enjoy doing, and that you've always wanted to do? When a human being is able to live his passion, his eyes will burst of joy, and the Universe will ignite in him a light that puts a glint into the eyes of everyone else!

Il blog felice
Der Blog vom Glück
The happy blog

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C’è un episodio della vita di Enrico, che ancora torna a trovarmi ogni volta che mi imbatto nei confini mentali che ci autocostruiamo; sarà per via di questi orizzonti talvolta limitati, mi chiedo, che non entriamo, come Enrico, in un’agenzia immobiliare per dichiarare che ci occorre una casa grande, preferibilmente isolata e con molto verde, bella o brutta non importa, ma soprattutto che non costi niente? 

Andò proprio così e, quel giorno, la reazione dell’agente alla richiesta del mio amico fu immediata: «Come, che non costi niente?»

«Certo! Ho venduto una fattoria in Germania e me la pagheranno a rate negli anni quindi non ho soldi, ma la casa mi serve subito» rispose Enrico. 

L’immobiliarista non vedeva soluzione, ma Enrico lo aiutò: «Non è così difficile, calcola che per me va bene anche una stazione ferroviaria abbandonata, o una vecchia scuola, un ufficio postale, un convento…».

Alla parola ‘convento’ il tipo si infervorò: «Ce n’è uno a venti chilometri da qui, ci abita solo un padre guardiano, ma lo stabile non è in buono stato» disse.

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Ha un paio di mutande tristi la donna che fa autostop sulla provinciale; me ne accorgo quando la faccio salire in auto perché i jeans che indossa sono così sformati da lasciarle scoperto metà sedere.

I grandi occhi azzurri, distanti fra loro, sembrano aver tirato il suo viso, le labbra rosse e gonfie, identiche nel colore ai capelli, si muovono di continuo. Lo sguardo, un tormento.

Sale prendendo velocemente posto al mio fianco. Si volta verso di me, non mi dice per dove le serva il passaggio come se la sua urgenza fosse un’altra. Subito chiede: «Hai una sigaretta?» e, prima ancora che io apra bocca, aggiunge «Che poi non fumo, sai?»

Le rispondo che non ne ho.

«Devo andare al Crociale di Manerba» dice.

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La porta dello psicologo è spalancata quando sull’uscio compare una titubante biondina con la gonna corta e il sospetto addosso. L’uomo si alza dalla scrivania per andarle incontro con un sorriso che si fa spazio fra i peli ordinati della barba solo in apparenza incolta.

«Si sieda» le dice mentre chiude la porta.

Lisa si gira sulla difensiva con le braccia conserte: «Non mi va di stendermi».

«Ho detto si sieda» afferma lui accomodante e ben accomodato in un impeccabile abito grigio scuro con cravatta blu. 

«Come mai è qui?» esordisce lo psicoterapeuta.

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«Non mi parla più, Paola, ed era la mia miglior amica. Ricordi? C’era il rito della colazione al nostro bar preferito, quell’inoltrarci fra le pareti più intime del nostro sentire e quelle risate di gusto fra chi si accetta e mai giudica.

Profondità e leggerezza ci accompagnavano insieme alla sensazione di poterci dire qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Adesso che lei è sparita ho freddo. Dentro». Marina è un guerriero di luce disarmato.

«Cosa è successo?» chiedo.

«È assurdo! - Esclama con veemenza - Con lei un bel niente! C’è stata un’incomprensione fra me e un amico comune (con il quale mi sono chiarita e scusata), ma non con Paola».

«Sembra impossibile» commento.

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A volte ci penso, alla mia ultima volta. Questa potrebbe essere l’ultima volta che scrivo, che riordino la cucina, che passeggio nel bosco, che sorseggio una tazza di tè mentre l’aurora incede profonda. 

Mi chiedo: quando sorgerà l’alba del nostro ultimo giorno, ne avremo il sentore? Perché, quando arriverà, quella persona sdraiata nella bara, saremo noi. A parte gli scongiuri che possiamo fare in questo momento, questa non vuole essere una macabra iniezione, ma una celebrazione dell’esistenza.

Il soffermarci sull’ultima volta, infatti, ci porta a vivere con una diversa intensità e a percepire, nella totalità del ‘qui e ora’, il nostro essere gocce di mare uniche che si stanno giocando il dono di questo secondo.

Ricordo da ragazza, quando ero in vacanza e arrivava l’ultima sera; non si voleva mai andare a dormire per gustare, fino all’ultimo sorso, ogni momento di quel mondo fatto di nuovi incontri che, all’indomani, sarebbero sfumati nei chilometri rimanendo talvolta appesi alle lettere tessitrici dei fili dell’amicizia.

È rimasto indelebile in me il profondo sguardo di mio zio Mario quando ci salutammo l’ultima volta. Quel mattino, consapevolmente presenti al frammento di esistenza che abitavamo, l’universo intero si concentrò in quell’attimo che divenne assoluto. Lui non mi aveva mai guardata in quel modo e nemmeno io ero mai stata così presente a un istante che sapevo essere l’ultimo prima del grande volo.

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