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Il blog felice
Der Blog vom Glück
The happy blog

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Posted by on in NUOVI ORIZZONTI

Quanto non era all’estero, l’avvocato bazzicava con il suo macchinone sul lago di Garda per via di certi affari che seguiva con attenzione maniacale.

Immacolata camicia bianca, fisico asciutto e piglio serio, aveva il fascino del bel tipo sicuro di sé, la classe di un milord inglese e la profondità filosofica di discorsi mai banali.

Carla sul grande lago c’era nata 55 inverni prima e ora, con un divorzio alle spalle, i figli all’estero e un generoso conto in banca, sopravviveva alla noia grazie a shopping e bignè. Fino all’incontro con l’avvocato.

Fu per entrambi un colpo di fulmine. Immediata scattò la frequentazione che passò da romantiche cene a bordo lago, a colazioni con vassoi di bignè, da gite al Vittoriale, a soffusi racconti di lui sull’infanzia disagiata trascorsa in una casetta fuori dal mondo.

Quando l’uomo partiva per lavoro, le coccole da Montecarlo, come da Ginevra, viaggiavano via messaggio fino al suo ritorno, mai a mani vuote.

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“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.

Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.

Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. 

Nel leggere questo scritto di Calvino, il racconto di un’amica mi scorre dentro, insieme all’acquamarina del suo sguardo: «Succedeva 15 anni fa mentre stavo traslocando - racconta - per andata ad abitare sulle colline vicino a un grande carpino.

Non era solo per avvicinarmi all’albero che mi spostavo, sai? In verità speravo che, abitando lassù, la mia vita, seppur con gli stessi attori, sarebbe cambiata.

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Seduti per terra su vaporosi cuscini rossi, quelle che sembravano chiacchiere fra cugini riuniti dai nonni per la consueta cena natalizia, furono semi gettati sul terreno fertile di un’esistenza che, da quel momento, cambiò.

Quella sera Antonia aveva raccontato dei suoi studi in una prestigiosa università romana, Gianni del suo primo impiego da neo laureato, Stefano, al quinto anno di liceo, del suo improponibile sogno di studiare alla Bocconi.

«Non arrenderti Ste, tu hai grosse capacità. Magari trovi una borsa di studio» avevano insistito i ragazzi.

Pochi giorni dopo, in macchina con la madre e il fratellino nel tragitto di ritorno verso Bari, Stefano disse che avrebbe voluto provare il test della Bocconi.

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Nasce con noi e si annida in qualche anfratto delle nostre cellule, il dubbio che la vita “non possa essere tutta qui” e mentre tagliamo traguardi socialmente degni di nota, quel tarlo nascosto nelle nostre profondità non ci molla e attende paziente l’occasione per uscire allo scoperto. 

Alexis Carrel, biologo e chirurgo francese insignito nel 1912 del premio Nobel per le scoperte sulle tecniche di sutura dei vasi sanguigni e i trapianti di tessuti e organi, “assorbito dagli studi scientifici, si era convinto che al di fuori del metodo positivo non esistesse certezza alcuna.

Rifugiato in un indulgente scetticismo, la ricerca delle essenze e delle cause gli sembrava vana e solo lo studio dei fenomeni, interessante.

Il razionalismo soddisfaceva interamente il suo spirito, ma nel fondo del suo cuore si celava una segreta sofferenza, la sensazione di soffocare in un cerchio troppo ristretto, il bisogno insaziabile di una certezza” sul senso della vita e della morte che razionalità e positivismo non riuscivano a fornirgli.

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Mentre Vobarno non ha ancora visto il sole e la ghiacciata Val Sabbia si appresta a vivere un nuovo giorno, Anna sta facendo rifornimento al self service della stazione di servizio.

Il suo portafoglio di pelle rossa, gonfio a dismisura, è appoggiato sul tetto della vettura insieme ad un pensiero: “Poi lo metto via”.

Nel vicino bar c’è un anziano che legge il Giornale di Brescia, una ragazza in minigonna dietro il bancone e profumo di caffè.

Mille idee accompagnano Anna in questo viaggio abitato dall’entusiasmo di un nuovo progetto. La pompa si blocca e la donna riparte insieme al suo sorriso che si allunga fino a Lavenone quando, alla cassa di un negozio, scopre di non avere il portafoglio.

Un improvviso flash le si accende dentro mostrandole il suo rubicondo tesoretto dimenticato sulla carrozzeria della macchina. Il cuore deraglia impazzito.

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Posted by on in PAROLE BELLE

Le due donne sono sedute in una pasticceria bresciana. Le festività natalizie stanno scollinando e per loro è tempo di bilanci.

“«Milva, senti, pensiamo al nostro Natale. Qualcuno ci ha stretto forte dicendoci dal profondo del cuore “Ti amo”? Intendo qualcuno di quelli importanti, tipo Giulio per te e mia madre per me?»

Una lacrima scivolò sulla guancia di Milva che veloce la asciugò sistemandosi i lunghi capelli castani con naturalezza. Veronica continuò: «Le feste, io le odio, perché sembrano obbligarci a essere felici, a essere famiglia.

Io ti ho detto che è stato bello e divertente, ed è vero, ma guardavo mia madre che aveva occhi e parole solo per Tommaso osannando il suo successo in Statistica - sorseggiò un goccio di caffè - e notare che ha preso diciotto al terzo tentativo.

Io mi sono laureata in tre anni e una sessione con centodieci e lode e mai, dico mai una volta (…) che mi abbia detto “Brava Veronica, sono orgogliosa di te”.

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Dopo aver lavorato in banca per anni, Bronnie decise, per un periodo della sua vita, di accompagnare i malati in fin di vita al traguardo finale, o iniziale a seconda del versante dal quale lo si guardi.

Dei suoi incontri mi ha colpito quello con Rosemary, una ex dirigente di una multinazionale che “aveva scalato la piramide aziendale fino ai livelli più alti molto prima che le donne occupassero questo tipo di posizione nel mondo del lavoro” racconta.

L’infelice matrimonio che la giovanissima Rosemary si era lasciata alle spalle le aveva indurito cuore e mente, trasformandola in una donna arrivista dal fare intimidatorio.

Adesso che la fine del viaggio stava arrivando, Rosemary, spaventata e sola, continuava ad attaccarsi tenacemente al suo fare dispotico facendo programmi per il futuro e respingendo chiunque le si avvicinasse.

“Non sopporto che tu sia sempre felice e che canti continuamente” disse un mattino a Bronnie.

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Posted by on in PAROLE BELLE

 

Dicembre è un mese accelerato, c’è tensione nell’aria, sta per consumarsi il dramma del Natale, lo si avverte nei discorsi e sul lavoro fin dai primi giorni. L’umanità sembra entrare in una centrifuga che la shakera e restituisce dopo l’Epifania, insieme a un sospiro di sollievo. 

È come se questa non fosse una notte, ma un crinale che divide l’anno fra il prima e il dopo stasera.

Il perché l’ho capito il mese scorso a Malta, una terra sferzata dal vento e abbracciata dal blu inchiostro del mare, uno Stato che filodiffonde musica per le strade addobbate, una Repubblica con 359 chiese attive su 315 Km2 di superficie, un territorio dalla profonda tradizione cattolica caratterizzato da un’economia avanzata e da grande religiosità ma, mio sentore, da assenza di spiritualità.

A Malta manca il cuore, un po’ come nella finzione di certi Natali (che non si vede l’ora che passino) tesi nell’allestimento di un palcoscenico dove si consumerà un evento troppo grande per trovar spazio nella piccolezza dei cuori umani, ma l’organizzazione del quale, nella cura della cornice di musiche e regali, nei sorrisi pitturati in volto e nelle parole di circostanza, potrà stemperare l’inconscio disagio dato dal non senso di tutto ciò.

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Posted by on in RAGGIUNGERE IL SOGNO

Cosa faccia Sergio ogni giorno dalle 11 e 30 a mezzogiorno non lo sa nessuno, in azienda. L’agenda condivisa con la segretaria e il personale segnala sempre un impegno marcato in rosso che, nel linguaggio interno, significa: non disturbare per alcun motivo.

Sono anni che quella mezz’ora intoccabile è oggetto di borbottii e illazioni. 

Ore 15. Macchinetta del caffè. Sergio sta bevendo una cioccolata calda quando arriva Antonio, un neo assunto che, con fare indifferente, gli chiede: «Tutto bene?» «Sì, grazie. Tu?» «Anch’io se non fosse per un tarlo che mi tiene sveglio pure di notte».

«Mi spiace» dice Sergio.

«Anche a me» sorride Antonio. Silenzio. Riprende: «Forse potrebbe aiutarmi».

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Natale si stava avvicinando e mentre le vetrine lo mostravano sfacciatamente, Fabio avrebbe voluto coniare una nuova parolaccia quotidiana o una scusa per non viverlo mai, quell’Avvento. Perché sarebbe stato l’ultimo. L’ultimo in quella casa. L’ultimo da uomo sposato.

Quel suo essere in procinto di recitare l’ultimo atto da marito era una novità di qualche giorno prima, quando la consorte gli aveva fatto recapitare dall’avvocato una sorprendente richiesta di separazione che l’avrebbe costretto a vivere gli anni a venire con un budget mensile da senzatetto.

Ma quel 10 dicembre, come se niente fosse, sarebbero arrivati i quattro figli, da anni fuori casa, per addobbare l’albero e lui aveva l’ordine di non dire nulla «per non rovinare le feste ai ragazzi» aveva sibilato lei. 

Fabio, uomo mite e incline all’obbedienza, si era attenuto al diktat, ma aveva altresì escogitato un piano confessato solo al gatto. Sapendo che da quel giorno ci sarebbe stato un viavai di nuore e nipoti per depositare i doni sotto le fronde, l’uomo aveva deciso di liberare il suo silente grido personalizzando gli addobbi.

L’albero venne così allestito fra risate e sorrisi ma, già da quella notte, si arricchì della minuscola scritta “Che palle!” tracciata da Fabio con il pennarello indelebile su una preziosa coppia di sfere antiche posizionate in alto.

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Posted by on in DIFFONDERE IL BENE

 

La Gilda di soldi non ne ha mai sprecati e non solo perché guadagnarli costa fatica, ma anche perché vanno accantonati per la vecchiaia quando la salute zoppicherà e «ci sarà anche - dice - da pagare il funerale».

Ha da 60 anni nel cassettone del soggiorno di rappresentanza, il servizio di piatti che le hanno regalato quando si è sposata con Piero: «Un servizio da 12» afferma compiaciuta mentre spolvera la mercanzia intonsa a fiori rossi e blu.

«Perché non lo usi?» chiedo.

«È troppo bello - esclama d’impeto - non voglio rischiare di rompere qualcosa». 

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Posted by on in VIVERE CON PASSIONE

La porta dello psicologo è spalancata quando sull’uscio compare una titubante biondina con la gonna corta e il sospetto addosso. L’uomo si alza dalla scrivania per andarle incontro con un sorriso che si fa spazio fra i peli ordinati della barba solo in apparenza incolta.

«Si sieda» le dice mentre chiude la porta.

Lisa si gira sulla difensiva con le braccia conserte: «Non mi va di stendermi».

«Ho detto si sieda» afferma lui accomodante e ben accomodato in un impeccabile abito grigio scuro con cravatta blu. 

«Come mai è qui?» esordisce lo psicoterapeuta.

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Posted by on in NUOVI ORIZZONTI

Non c’entra la statura, ma quello che uno ha all’interno di quel metro e cinquantotto di biologia umana, perché se lì dentro si annidano nugoli di esperienze catalogate come sconfitte, il bisogno inconscio di utilizzare un ruolo per sfogare le proprie frustrazioni, diventa incontenibile.

Ed eccoci in quinta liceo alle prese con una ragazza che per la profe Tarlo ha due colpe gravi da scontare: essere nata alta e bella. Non solo.

A volte l’adolescente, nella sua spontaneità, fa tremende gaffe, come quando riferisce all’insegnante, che di figli non ne ha, la frase pronunciata dalla vecchia maestra delle elementari in punto di morte

“L’esistenza acquisisce il suo pieno significato nella procreazione” o quando, a teatro, chiede alla profe, seduta dietro una poltrona vuota occupata dai cappotti: «Ci vede?»

suscitando nella donnina l’indignata risposta: «Va bene che sono bassa, ma non esageriamo! Questa me la lego al dito». 

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Posted by on in NUOVI ORIZZONTI

 

Questa è la storia di due gemelli che avevano deciso di incontrarsi una sola volta all’anno, e di quell’indimenticabile 7 febbraio.

Breve excursus storico: portati a Roma all’età di 12 anni per studiare (siamo nel 492 d.C.), i due fratelli videro la corruzione e la depravazione di quell’epoca successiva alla caduta dell’impero romano e, in seguito, decisero di ritirarsi dal mondo:

Benedetto visse alcuni anni da eremita e poi fondò l’Ordine dei Benedettini basato sulla ‘Sancta Regula' da lui stesso scritta e Scolastica, fattasi monaca, fondò il Monastero di Piumarola dove diede inizio all’Ordine Benedettino femminile.

Quel 7 febbraio del 547, giorno del loro incontro annuale in una casetta di Montecassino che si trovava a metà strada tra i loro due monasteri, Benedetto e Scolastica trascorsero la giornata a parlare di Dio e degli uomini nutrendosi della reciproca compagnia finché venne, insieme al tramonto, il momento di separarsi.

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È una morsa, a volte un cappio, la notte della solitudine, quando credi di non farcela e la mente ti assale, stringe e non molla; pensi e ripensi ma, ovunque vaghi, non scorgi via d’uscita perché tutte le porte sono bloccate dalla stessa parola-spranga: solitudine.

Cosa ci fa paura, in realtà? La solitudine dell’incontro con le nostre profondità perché “se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te” (Nietzsche) o l’isolamento di quando siamo fisicamente disgiunti dagli altri?

Esiste davvero la separazione o è un’illusione? “Non è un’illusione” afferma la mente, “Sì che lo è” sussurra il cuore.

Il modo per superare il senso di isolamento dato dalla separazione che il nostro corpo fisico percepisce come reale, secondo Erich Fromm, è l'amore che lo psicologo e filosofo tedesco definisce come potere attivo che annulla le pareti che ci separano dai nostri simili e che tuttavia ci permette di essere noi stessi e di conservare la nostra integrità. 

Mi guardo attorno alla ricerca di questo potere attivo e allargo lo sguardo all’alba del nuovo giorno che pennella il cielo di rosa per poi tingerlo ancora in un crescendo infuocato fino allo scoppio finale, l’oro del sole,

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Oggi ho bisogno di un abbraccio d’eternità che faccia risuonare in me la prova della vita che continua. Per questo racconto di un bouquet improbabile di rose rosse contornate da fiorellini bianchi. 

La storia inizia sul sagrato di una chiesa, dove uno sposo sorridente consegna ad una sposa radiosa un bouquet molto discusso, da lui personalmente scelto, di rose rosso fuoco attorniate dai fiori bianchi del velo da sposa.

La scelta del colore troppo vivace delle rose, in luogo delle tinte pastello più comunemente usate, viene ampiamente criticata, ma Chicco sorride sicuro che alla sua Giò quel bouquet piacerà. Non solo.

Ha messo rose rosse e fiorellini bianchi anche nel vano porta radio della Citroen Ds Pallas a bordo della quale partiranno. E nei capelli di lei.

Da quel giorno la clessidra ha osservato fluire migliaia di granelli di sabbia, nascere due bimbe deliziose e, cinque anni fa, ha anche visto Giò valicare anzitempo la porta del “paese sconosciuto da cui nessun viaggiatore è tornato” (Shakespeare).

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«Non mi parla più, Paola, ed era la mia miglior amica. Ricordi? C’era il rito della colazione al nostro bar preferito, quell’inoltrarci fra le pareti più intime del nostro sentire e quelle risate di gusto fra chi si accetta e mai giudica.

Profondità e leggerezza ci accompagnavano insieme alla sensazione di poterci dire qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Adesso che lei è sparita ho freddo. Dentro». Marina è un guerriero di luce disarmato.

«Cosa è successo?» chiedo.

«È assurdo! - Esclama con veemenza - Con lei un bel niente! C’è stata un’incomprensione fra me e un amico comune (con il quale mi sono chiarita e scusata), ma non con Paola».

«Sembra impossibile» commento.

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Non è stato un incontro diretto il mio con il Re del Po, ma filtrato dalle parole di chi ha visitato il suo Regno e toccato con mano l'arma più potente che esista sulla terra: l'animo umano in preda all’entusiasmo (Foch). 

L’autoproclamatosi Re, mancato quest’estate a 79 anni, è Alberto Manotti e l’eredità che ci lascia è frutto della sua energia esplosiva che contagiava chiunque gli si avvicinasse.

Da quasi mezzo secolo Alberto viveva tête-à-tête con il Grande Fiume, recuperando ogni giorno i rami che arrivavano e utilizzandoli per costruire, lungo le sponde in prossimità del ponte di Boretto (Reggio Emilia), intricati rifugi diventati negli anni una sorta di imbarcazione lunga 40 metri e alta 6: Nave Jolanda. 

Vista da lontano la gigantesca struttura è simile a una manciata di shangai lasciati andare sul terreno, ma avvicinandosi si ammira un intreccio ingegneristico di rami e tronchi che Alberto raccoglieva sul letto del fiume, si caricava in spalla e avvinghiava prontamente gli uni agli altri «perché le cose vanno fatte subito!» diceva. Il risultato è un’opera che trasuda amore e ostinazione.

Forse era scritto che un corso d’acqua che nasce al Pian del Re dovesse averlo un proprio Re, un uomo libero e instancabile che portasse avanti una costruzione che le piene danneggiavano e che il sovrano non si stancava di ricostruire, perché quella nave conteneva una ricetta di felicità che lui così sintetizzava:

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C’è sempre un momento dal quale tutto ha origine. Talvolta è una voce che ti si compone dentro, altre un silenzio profondo. In quel frangente immobile di tempo, senti che niente sarà più come prima. È più che una convinzione, è una forza che si impossessa di te e che ti dice «Fai qualcosa!»

Scendi in garage. La tua vecchia Vespa è ancora lì che ti aspetta, è una 125, la guardi con amore mentre uno scoppio di gioia ti esplode dentro. Partirai! Magari a bordo di una Vespa più potente, ma partirai, perché sei pronto a mollare le tue certezze professionali ed economiche, così come le abitudini, le comodità e le relazioni prive di autenticità. 

Sono 35 anni che lavori e te ne mancano 10 per andare in pensione, ma non ne puoi più di quel latente senso di insoddisfazione. Questa vita fatta di corse e di burocrazia è un vortice che ti trascina sempre più giù e tu continui a sprecare l’unica risorsa non recuperabile che hai: il tempo.

Cosa aspetti? Di essere vecchio per godertelo?

C’è un mappamondo impolverato sulla mensola, l’avevi regalato a tuo figlio. Lo sfiori con la mano, il tuo dito si appoggia sulla tua città, Conegliano (TV), e poi si muove disegnando una linea che solca la polvere mentre attraversa Slovenia, Croazia, Montenegro, Albania, Macedonia del Nord, Grecia, Turchia, Iran, Pakistan, India e approda in Nepal. 

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«Siamo due amici. Siamo due attori. E siamo due arrampicatori della domenica, come ci piace definirci. Anni fa ci siamo imbattuti nell’incredibile storia vera di due alpinisti, Joe Simpson e Simon Yates (narrata nel best seller “La Morte Sospesa”). Da questo incontro è nato il nostro primo spettacolo ‘(S)legati’ che è stato il punto di partenza di un’avventura che ancora dura».

Hanno gli occhi accesi dall’entusiasmo, Mattia Fabris e Jacopo Bicocchi, mentre mi raccontano di Joe e Simon e della montagna fattasi metafora delle relazioni portate al limite estremo, quello in cui la verità prende forma, ti mette alle strette e ti costringe a fare quel gesto che sempre ci appare così violento e terribile, ma che, a volte, è l’unico gesto necessario alla vita di entrambi: tagliare. 

«Quel giorno d’inverno eravamo a Bolzano. Tutte le montagne erano innevate. Immediatamente è nato in noi il sogno di poter raccontare “La Morte Sospesa” non solo nei teatri, ma anche sulle cime.

“Facciamo una tournée nei rifugi! - ci siamo detti - di giorno camminiamo e la sera raccontiamo di Joe e di Simon, perché la loro non è solo un’impresa sovrumana, ma un’avventura profondamente umana fatta di gioia, dolore, coraggio, paura, morte, vita; è la storia di tutti noi, quando ci troviamo ad affrontare difficoltà che ci sembrano insormontabili».

I due ragazzi sono così partiti nell’agosto del 2012 per la loro prima tournée nei rifugi delle Alpi Orobie totalizzando ad oggi oltre 300 repliche, vincendo premi e, soprattutto, lasciando agli spettatori, si legge sul loro sito (compagniaslegati.com), l’emozione profonda che fa restare senza parole. 

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