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Il blog felice
Der Blog vom Glück
The happy blog

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Posted by on in NUOVI ORIZZONTI

Poi quel giorno arriva, per chi nemmeno conosciamo, per chi ci è molto vicino, infine per noi. Non siamo forse qui per questo? Per accettare che la vita continua e che quella che chiamiamo morte è in realtà una rinascita?

Questo è il momento di credere, di fidarsi e di affidarsi. Il Grande Regista, “l’Amor che move il sole e l'altre stelle” ci sussurra: «Non aver paura, figlio mio, non sei solo, apri il tuo cuore, stai solo tornando a casa».

Io, queste parole, non avrei mai voluto scriverle, ma due settimane fa una donna meravigliosa ha spiccato il volo e il sipario è calato sui nostri occhi fisici impedendoci di vederla e lasciandoci sospesi nel vuoto di uno spazio vacuo, in balia di un polverone emozionale che contiene non solo il lascito di colei che è partita, ma anche chi veramente siamo; perché la morte ci denuda, tutti. 

Zia Marisa (Messa) ha seminato fra Brescia e Vigevano i punti cardine del suo esistere:

rendere piacevole la vita a chi ci circonda,
dire sempre la verità,
battersi per la giustizia,
lavorare su di sé per correggersi,
essere accoglienti pacati e pazienti,
affrontare le difficoltà senza scoraggiarsi
e, in primis, aver cura della propria anima.

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Ho sete, ma non è la stessa sete di quando il cielo non gocciola più la sua acqua preziosa, adesso ho sete della mia linfa, quella che mi scorre dentro, quella che mi fa vivere.

I miei canali urlano prosciugati dal bostrico tipografo che, annidato sotto la mia corteccia, si sta nutrendo del mio sangue, goccia dopo goccia. Ho cercato di annegarlo con la resina, il maledetto, ma non ha funzionato. 

Il ladro mi è volato addosso alcune settimane fa ma non mi sono insospettito, ero sano e lui si è sempre occupato dei fratelli in fin di vita aiutando i deboli e i malati a decomporsi e favorendo, con la sua opera, la rigenerazione del bosco.

Dopo la tempesta di Vaia, tuttavia, grazie ai tantissimi alberi abbattuti e al cibo esageratamente abbondante a sua disposizione, mi avevano riferito che fosse diventato un traditore e che non guardasse più in tronco nessuno.

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«Ho sparlato di un tale, inventandomi falsità». Il Don è perplesso; la donna seduta davanti a lui sta confessando per l’ennesima volta il peccato di calunnia.

Per aiutarla il sacerdote le ordina di comprare una gallina morta, ma con le penne. «Che penitenza sarebbe? E cosa c’entra la gallina?» irrompe lei.

Don Filippo Neri soggiunge: «Ascoltatemi con attenzione: non si tratta solo di comprare la gallina, ma di portarmela spennandola per le strade di Roma. Poi vi dirò cosa fare».

La penitente ubbidisce, si procura la gallina e la spenna mentre cammina. 

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Posted by on in DIFFONDERE IL BENE

 

Sei così bella, ragazza mia, con i tuoi lunghi capelli castani magnificamente imbizzarriti e lo sguardo penetrante! Hai 20 anni. Rincorri l’avventura e il mondo delle celebrità mentre ti laurei a pieni voti. Sei sempre corteggiata anche perché, oltre ad avere un bel “telaio”, come dicono i tuoi corteggiatori, sei simpatica.

La valigia con la quale dei venuta al mondo trabocca di talenti.

Hai 27 anni e nel bagaglio hai aggiunto un uomo ricco e famoso. Ti sei sposata su una spiaggia della Polinesia con una collana di fiori colorati e un cappello che ti volteggia intorno come l’ala morbida di un airone immacolato.

Vivi all’estero spostandoti in business class da un continente all’altro, le tue frequentazioni del jet set mondiale ti tengono lontana dalla tua città natale finché non arriva quella telefonata che tutto cambia: la donna che si dimenticava di venirti a prendere a scuola si è gravemente ammalata. 

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«Che vita di m…» ‘schifosa’, «che famiglia di s…» ‘soggetti deplorevoli’. Le parole filtrate dalla censura sono di Superman, un imprenditore che si sente spesso dire quanto sia fortunato a vivere in un luogo meraviglioso, ad avere una bella famiglia e a collezionare successi negli affari. 

Superman, come ogni super eroe, ha una doppia vita: quella fatta dalla bomba di rimproveri e urla che esplode appena varca la soglia di casa, e quella spiritosa della simpatia che riserva ad amici e clienti. 

La verità è che Superman ha la rabbia a fior di pelle ma, se qualcuno glielo fa notare, si altera ancora di più. Risultato? La famiglia, ridotte al minimo le parole, cerca di evitarlo il più possibile, ma Madre Vita no! 

Generosa e paziente, Madre Vita cerca incessantemente di aiutarlo a estrarre la testa dal sacco buio nel quale si è infilato richiamandolo con tocchi leggeri e, via via, sempre più pesanti;

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Brescia 21 luglio. Ore 14. “Perché continua a fare gesti?” pensa Mara ferma al semaforo di Piazza Arnaldo mentre osserva dallo specchietto retrovisore il tizio sulla golf. Verde. Mara accelera e imbocca la strada per il Castello. La golf la segue.

Primo tornante, l’ansia monta. Secondo tornante, l’uomo sventola dal finestrino uno straccio viola e le fa segno di fermarsi. “Devo arrivare allo Chalet, qualcuno mi aiuterà”.

Giunti sulla sommità della collina, Mara deve fermarsi perché c’è una vettura in manovra. Con il terrore addosso osserva l’uomo scendere dalla golf e avvicinarsi. Le portiere sono chiuse ma lui è al finestrino ancora con quello straccio.

Mara tiene lo sguardo fisso davanti a sé pronta a ripartire per seminarlo. Lui appoggia sul parabrezza il cencio viola con “il mio portafoglio, e quello è il mio foulard!” esclama Mara mentre il tipo è già tornato alla golf e, superandola, è ripartito. 

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Il lunedì ha girato la boa della mezzanotte in via Campagnola 17 a Manerba del Garda passando il testimone al giorno che sconvolgerà l’esistenza di Daniele il quale, ignaro di tutto, sta dormendo. 

Questa storia affonda le radici nell’inverno di 13 anni fa quando Daniele Benedetti faceva il meccanico di automobili e, nel fine settimana, «seguivo le gare sportive di auto, moto e Kart - racconta - e non solo perché mi piacevano. Adoravo fotografarle».

Mentre i motori erano sempre più performanti nel passare da 0 a 100 in pochi secondi, l’appassionato fotografo amava riportarli da 100 a 0 imbrigliando fulmineo rombi e secondi con la sua ‘macchina del tempo’ in grado di captare il movimento zero. 

Poi, 5 anni fa, Daniele ha perso il lavoro e anche la ragazza. Primo tonfo. «Ero a terra, ma avevo il sogno di aprire un negozio e mi sono lanciato». 

La bottega di Daniele è diventata in questi anni un punto di riferimento per i fotoclub locali e per i fruitori dei suoi servizi perché c‘è chi usa lo zoom per inquadrare, sparare e uccidere, e chi lo usa con il cuore per donare eternità a un istante. 

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Ne ho incontrati due, questo mese, di uomini ‘fantini’. Situazioni diverse e anni uno il doppio dell’altro, ma stessa fermezza interiore.

Il primo è Virgi, un magnifico baffo che la premurosa consorte riempie di attenzioni e che, alla boa dei 50 anni di matrimonio, non manca di stimolarlo e, altresì, di riprenderlo.

«Non devi parcheggiare qui ma all’ombra» esclama lei in un assolato lunedì di giugno giustamente preoccupata per le pietanze deteriorabili che lasceranno in auto e, mentre lui piazza la vettura in pieno sole, lei abbassa la voce e commenta «Non mi ascolta mai».

Scendono dall’auto e si allontanano. Virgi è immerso nei suoi pensieri e si accorge della frase che la moglie gli sta ancora ripetendo, dopo qualche metro.

Solerte torna alla macchina, la sposta oltre la curva sotto l’ombrello profumato dei tigli, raggiunge la dolce metà che, con alcune amiche, lo sta aspettando davanti a un imponente castello medioevale e, sorridendo, racconta loro la storia di quel maniero fermo nel tempo.

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È il cappellino rosa a forma di barchetta ingentilita che balza all’occhio avvicinandosi al primo tavolo del ristorante a bordo lago. I commensali, distribuiti attorno alla circonferenza immacolata della tovaglia di lino, stanno attingendo a generosi vassoi di antipasti.

Ada si sporge all’indietro e, appoggiandosi alle spalle del marito, chiama sua cugina Giulia che è seduta un posto oltre lei. «Finalmente ci vediamo - esclama - ciao». Giulia ricambia il saluto. «Ti trovo proprio bene - frizza Ada - sei ingrassata».

«Tante grazie!» ribatte scocciata Giulia che, senza troppo dare nell’occhio, si alza e raggiunge il tavolo a fianco dove zia Carla sta borbottando a zia Bruna di quel cappellino rosa che proprio non si può vedere, «tipico gusto americano e poi ha sbagliato il colore del rossetto che tira all’arancione; le americane non sanno cosa sia il buon gusto e pretendono di insegnarlo a noialtre».

Giulia ha sentito abbastanza e, sfiorando le velette delle zie, si sposta all’altro tavolo dove il cugino di Roma sta parlando del parente seduto vicino al banco bar che «quarant’anni fa ha venduto i titoli per comprare casa alla badante fregandosene dei figli». Giulia procede oltre dirigendosi verso i nonni. 

Nonna Gilda ha appena fatto scorta nel piatto di gamberetti e, dopo averne messo in bocca uno e aver esclamato quanto disgustoso sia, li sta offrendo alla consuocera che risponde: «Grazie tante, tieniteli pure».

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Sono attratta dalla donna seduta sulla panchina del lungolago. L’espressione del suo viso è serafica. Ha una mano in tasca e osserva un gelsomino fiorito intrecciato ad un tralcio di rose gialle.

Prendo posto sull’altro lato della panchina. Scorrono lenti alcuni minuti, alla fine volgo lo sguardo verso di lei sperando non se ne accorga. Se ne accorge e subito mi saluta.

«Ha sentito che profumo?» dice. 

Certo che l’ho sentito, sto respirando anch’io quell’effluvio delizioso, ma è la sua serenità che più di ogni altra cosa respiro e, racconta di qui, racconta di là, alla fine confesso:

«Lei emana una sconfinata pace. È per questo che mi sono avvicinata. Sulle prime non capivo cosa fosse ma poi qui, seduta in silenzio vicino a lei, ho colto un benessere profondo e mi sono chiesta: c’è una strada che porta a questa pace o è una condizione personale sua da sempre?» 

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Australia. «Sono un emigrato greco di 27 anni con moglie e figlie piccole. Sono stato assunto in Qantas come impiegato per mansioni di poco conto e di sera lavoro come cameriere. Non ho potuto fare grandi studi, ma mi considero fortunato per non essermi dovuto liberare di troppa zavorra intellettuale.

Di notte divoro libri di diritto, contabilità e statistica (mi sono iscritto all’università), ma sento altresì il bisogno di nutrirmi della voce dell’età classica, quella di generazioni di saggi e giganti del pensiero che forgiarono le idee più audaci che, attraverso l’oceano del tempo, sono arrivate fino a noi. T

uttavia, nonostante le centinaia di pagine lette, comprendo come queste mi abbiano sì descritto una canna da pesca, ma non insegnato a pescare».

1973. Prima lezione di pesca: riunione generale dei dipendenti Qantas. «Il direttore, che vedo come un astro lontano e irraggiungibile, cerca un volontario che, extra orario lavoro, si dedichi a informatizzare la compagnia.

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«Come è emerso in me il pensiero fisso che la vita fosse uno schifo, me lo ricordo benissimo. Era la vigilia di Natale del 1986 e, chiuso in camera mia, stavo ascoltando musica heavy metal a tutto volume. Nonostante fossi giovanissimo, la mia esistenza si riempiva di alcol, droga e gruppi Rock inneggianti alle tenebre e alla ribellione.

Il mio idolo era Tommy Kiefer, il chitarrista dei Krokus. Tommy aveva fama, soldi, avventure e migliaia di fan, lui sì che era felice. Io, invece, mi sentivo vuoto e aggiungevo alle droghe leggere quelle più pesanti nel tentativo di placare la voragine interiore che, inesorabilmente, si ingrandiva.

Ma un orizzonte l’avevo: Tommy. Fino a quel mercoledì di dicembre quando il mio “dio rock star” si suicidò uccidendo in me la convinzione che, per star bene, bastasse diventare come lui.

Il pensiero che non valesse la pena vivere e che l’unica soluzione fosse farla finita, iniziò a impossessarsi di me.

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«Sono nato a Cremona il 17 marzo 1993, figlio di uno sbaglio e di un grande amore. Sono cresciuto con i nonni che mi hanno insegnato la compassione e a mangiare la frutta.

La mia infanzia profuma di biscotti, pesche e piedi nudi d’estate. Sono un bambino felice e solitario. Leggo libri e sospiro sempre per la ragazza sbagliata. Poi sono adolescente, non ho un rapporto con mio padre, infrango ogni regola e disdegno lo studio accademico.

Continuo a leggere, però, e continuo a inseguire la ragazza sbagliata. Ho diciott’anni e mi sento vecchio. Fallisco, ancora e ancora. “Finirai per inscatolare merendine in fabbrica” dicono i miei insegnanti.

La ragazza sbagliata, dopo tanto sospirare, mi fa un grande favore spezzandomi il cuore in un milione di piccoli pezzi.

“Questa società è profondamente sbagliata - penso - Abbiamo tutti rinunciato ai nostri sogni e ci va bene accontentarci e scegliere un dolore facile anziché un’impervia vittoria”. 

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Sarà una giornata memorabile, quella del 4 giugno, non solo per via dei canti e delle risate, ma perché sanciremo la fine del periodo buio del Covid trasmutando il distanziamento in una catena umana di rara bellezza;

la cordata di pezze multicolori e braccia tese, lunga circa 80 chilometri (50 miglia), inizierà contemporaneamente dalla Piazza Vecchia di Bergamo e dalla Piazza Loggia di Brescia e ci vedrà disposti, uno accanto all’altro, intervallati da 40000 strisce di maglia fatte a mano.

Alle 11 la linea di fili e sorrisi si unirà sul ponte tra Sarnico e Paratico, confine delle 2 province, per 10 eterni minuti che decreteranno la fine del ricordo di queste città come teatri del dramma Covid, e onoreranno il loro essere Capitali italiane della Cultura 2023, una cultura deputata alla formazione dell'individuo sul piano intellettuale e morale, ma anche dell'acquisizione della consapevolezza del suo ruolo nella società.

Quale ruolo? 

Guardiamo gli animali: in assenza del telaio dove raccogliere il miele, queste api hanno costruito la loro architettura con un disegno (vedi foto) che consente alla ventilazione di mantenere stabile la temperatura.

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«Ti ho già trattato alcune volte e non dovrebbe più farti male, questo ginocchio. Il dolore - spiega Girolamo Tonoli, un abile ‘meccanico del corpo’ - è come un sensore che si accende sul cruscotto dell’auto e che ti dice dove intervenire.

Prendi, ad esempio, il mal di schiena lombare: se il problema non è da innervazione, spesso è viscerale (sulla schiena si appoggiano le viscere), e va fatto un lavoro di pulizia degli organi (intestino, fegato, reni) oltre che di manipolazione muscolare sulla gamba lungo la catena posteriore.

Ma tutto questo potrebbe non bastare: se la spia dell’olio si è accesa perché il serbatoio è buco, non risolvi aggiungendo olio, cioè lavorando sul corpo, ma intervenendo sulla problematica sottostante.

Tornando al tuo ginocchio: cosa impedisce la risoluzione del dolore? Vuoi provare a capire qual è la causa profonda che, a livello mentale o emozionale, blocca la tua guarigione?» 

Don Aldo acconsente e, grazie all’approccio chinesiologico del test muscolare, emerge il suo non riuscire a passare oltre qualcosa. Aldo è scosso da un tumulto interiore: è proprio così.

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Non si era iscritta all’università di Torino per prepararsi ad una professione, Ilona. La ragazza dai lunghi capelli scuri aveva un’idea che le avrebbe garantito un’ottima resa economica con il minimo sforzo cerebrale.

Il fatto, poi, che negli anni ’80 non esistessero i test, facilitava l’accesso agli atenei anche ai giovani animati da scopi tattici più che culturali. Ilona, nello specifico, si era iscritta all’università di Torino con l’unico obiettivo di sposare un farmacista mettendo a frutto i propri talenti quali impegno, perseveranza e un décolleté di tutto rispetto.

Inserita abilmente nel tessuto studentesco, superò gli esami di Fitoterapia e di Anatomia per i quali era richiesta memoria e non ragionamento; alle 500 pagine di Chimica generale non arrivò mai, ma furono proprio quelle le più importanti allorché, per l’occasione, propose a Mirco di studiare a casa sua dove, nel pomeriggio, sarebbero stati indisturbati.

«Proviamoci - disse Ilona appoggiando a mo’ di cozza la mano sulla spalla del compagno con un sorriso ammiccante e un’esperta scollatura - se poi non rendiamo, torniamo in biblioteca». Al farmacista in erba l’idea sembrò buona e le sessioni di studio ebbero inizio. 

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Ci sono storie che lasciano un segno e quanto è realmente accaduto in Texas una decina di anni fa alla famiglia Beam, raccontato nel film “Miracoli dal cielo”, è un dono per noi che talvolta fatichiamo a cogliere le mille sfaccettature dell’amore che ci avvolge.

La storia: la piccola Annabel Beam ha 10 anni quando si ammala di una patologia intestinale incurabile che la costringe a vivere preda del dolore e alimentata con il sondino.

La bimba confessa alla madre di voler morire. Inaccettabile per Christi perderla, ma insopportabile anche vederla soffrire e scivolare comunque verso la fine. 

Annabel viene portata a casa perché i medici non possono più fare niente per lei ed è proprio lì che succede il fatto. 

La bimba, aiutata dalla sorella maggiore, sale su di un vecchio albero secco, un ramo si crepa e lei precipita all’interno del tronco cavo. Estratta dopo qualche ora dai pompieri, la bimba respira ancora e, portata in ospedale con l’elicottero, risulta non avere fratture, emorragie interne e nemmeno contusioni. 

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«Quando ero bambina, a Brescia i negozi che vendevano banane erano due: uno in Corso Garibaldi e l’altro in Porta Venezia. Avevano il casco appeso fuori e man mano i frutti si maturavano, li si poteva acquistare - raccontano i 90 anni di zia Marisa -

Il latte si andava a prendere in latteria consegnando la bottiglia di vetro vuota che veniva acquistata la prima volta. Idem per l’olio.

Lo zucchero si comprava sfuso in fogli di carta azzurro/blu con i quali poi si ricoprivano i libri, mentre la carta gialla di formaggi e salumi veniva usata per assorbire i grassi e poi, ridotta in pallottole, per accendere la stufa.

In casa avevamo la cucina economica con la quale ci si scaldava, si cucinava al forno o in padella e si asciugavano i panni.

I pannolini dei bimbi? Pezze triangolari di cotone che si lavavano.

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È riduttivo definirlo un romanzo; ‘La scuola degli Dei’ è una voce che ci parla dentro. "Un libro che è per sempre”, si legge all’inizio,

“una mappa, un piano di fuga il cui scopo è mostrare il percorso che un uomo comune ha seguito per sfuggire al racconto ipnotico del mondo, alla descrizione lamentosa e accusatoria dell’esistenza, per deragliare dai solchi di un destino già tracciato”.

Io l’ho assimilato a piccole dosi perché le prime pagine a tratti mi irritavano e “non si può immaginare quanto sia insopportabile la saggezza del grillo parlante per un Pinocchio, mosso da fili invisibili, che ha già deciso di restare di legno”.

Ho inoltre l’abitudine di filtrare ciò che mi arriva, qualsiasi sia la fonte, e di trattenere solo quanto sento risuonare in me. In questo caso leggevo che “il mondo è così perché tu sei così”, ma per crederci dovevo sperimentarlo.

Lunedì mattina. Una mail mi assesta un colpo che mi arriva dritto al petto. A seguire, nell’arco di un’ora, mi piovono addosso altre situazioni spiacevoli. 

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«Da dove vieni?» chiede Renato all’uomo seduto dall’altro lato del corridoio centrale del Boeing diretto a Dacca, in Bangladesh.

«Da Aurland, la cittadina norvegese famosa per avere la galleria più lunga del mondo: quasi 25 km» risponde Daven il cui nome, per un caso o un destino annunciato, significa ‘uomo che è amato’.

«Del tunnel non sapevo, ma ho sentito parlare del pinguino brigadiere generale del vostro esercito» dice Renato.

Daven sorride: «Certo! Il nostro pinguino colonnello-in-capo; al momento abbiamo Sir Nils Olav III». L’uomo racconta di essere un ricercatore: «Il 98% dell’energia che consumiamo in Norvegia - afferma - è rinnovabile e il nostro obiettivo è diventare carbon neutral entro il 2030».

«Per coerenza potreste però evitare di arricchirvi esportando il vostro petrolio e il gas» commenta Renato.

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