Adorava il tintinnicare delle sartie di «Goletta», Marco, campanellini di mare, quelli della sua barca a vela, che lo accompagnavano interiormente anche nei giorni di traffico cittadino allorché, a tre ore di macchina dal porto di Marina di Pisa, il solo immaginare quel frinire argentato lo catapultava nel pozzetto della sua «Comet 1000» a godersi i sommessi gridolini delle altre compagne di mare in paziente attesa di ritrovarsi con gli ormeggi sciolti e le vele issate.
La fretta, in porto, non esisteva. Mentre in città Marco viveva con il piede pigiato sull’acceleratore, quando arrivava a Marina di Pisa e la visuale si apriva sui ciottoli bianchi adorni di scogli della spiaggia cittadina, i minuti iniziavano a dilatarsi. Era il segnale: «Sei arrivato».
Sbalzato in una dimensione altra, quella del silenzio del cielo e della libertà di togliersi giacca, cravatta e pure il titolo di ingegnere, Marco raggiungeva l’amata bussola marina quella che, oltre a rendergli sopportabili le difficoltà personali e professionali, nel fine settimana gli permetteva di staccare la spina e, soprattutto, di dedicarsi a lei. Goletta, infatti, aveva bisogno costante di cure che Marco espletava di buon grado non certo per dovere;
era passione, la sua, e la passione non stanca nemmeno quando, all’arrivo, invece che ascoltare subito il richiamo del mare, Marco esaminava lo scafo per individuare possibili danni, controllava i winch e la catena dell’ancora, sistemava il pozzetto e poi entrava, si cambiava d’abito, organizzava la cambusa, puliva gli interni e verificava gli impianti elettrici e idraulici. 
Infine, ispezionate cime, scotte e drizze e data un’occhiata a vele e motore, si rilassava nel pozzetto dove, con birra e patatine, attendeva gli amici per immergersi nel blu.
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